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Una storia spezzina

Le antiche mura, ghibelline per necessità

di Alberto Scaramuccia

Le mura della città

Che la Spezia prima dell’Arsenale era circondata da un giro di mura, penso sia cosa ormai nota a tutti. L’avessero dimenticato, a ricordarlo ci pensa il bel tratto che fortunatamente si conserva delle antiche vestigia, la reliquia che dal castello scende imponente e maestoso fino a via XX Settembre.
Da quelle parti vado spesso da quando l’area è stata riportata alla bellezza primitiva dopo anni di abbandono. Si va a spasso per una campagna che è in mezzo alla città ed è un passeggiare che rischia di straniarti da tanto che è bello ritrovarcisi immersi.
A ricondurre alla realtà ci pensano le mura.
Prima le si potevano guardare solo da lontano, adesso le ritrovi proprio sotto al naso.
La cosa che sempre mi ha colpito e che per me costituisce il tratto distintivo di quella difesa, è la merlatura, la serie di pilastri che si ergono lungo il giro murario e che traggono il nome dall’assomigliare, se visti da lontano, ad una fila di uccelli fermi tutti insieme a riposarsi su di un filare. I merli del nostro maniero li tagliarono al modo ghibellino: alla sommità, il parallelepipedo non si presenta piatto, ma termina con una forcella che rassomiglia alla coda di una rondine, l’altro nome con cui è definita la foggia dei ripari sugli spalti.
Dirli alla ghibellina era un modo con cui anche nell’architettura i seguaci dell’Impero si volevano differenziare dai rivali guelfi supporters del Papato, ma sono convinto che a consigliare una tale soluzione architettonica concorse anche l’evoluzione delle tecniche del combattimento che imponevano un sempre più massiccio uso delle armi da fuoco a scapito di quelle bianche.
Certamente è per motivi di sicurezza, ma è davvero un peccato che le mura non le si possano ammirare anche dall’altro lato dove corre per l’intera lunghezza delle mura il camminamento della ronda, l’interminabile avanti e indietro della scolta cui era affidata la sicurezza del castello che all’inizio del Seicento venne elevato di un piano per renderlo maggiormente idoneo alla necessità di difesa imposte dalla complicata situazione internazionale e dai nuovi modi del combattere.
È un bel posto, insomma, e ricco di cose nostre che è un dovere mantenere perché lì dentro è contenuto il passato di una comunità della quale, anche se in maniera indiretta, noi siamo i lontani pronipoti. Come dico sempre, conoscere le radici vuol dire sapere il colore delle ultime foglie che nasceranno in cima al fusto.
Penso che sia un panorama bello da vedere anche alla sera; me ne forniranno l’occasione le serate d’intrattenimento organizzate dall’Ortobar, il locale del posto.