Si sta svolgendo il prestigioso e tradizionale Festival della Mente che in questa edizione ha come lei motiv il tema del sogno: che cosa rappresenta per la persona e per la collettività ed in quale forma si presenta.
Un appuntamento autorevole, dicevo, e, in effetti, quello del festival è un programma quanto mai allettante e che affascina.
Tuttavia, confesso che non appena l’ho letto, mi sono chiesto perché non sia stato messo in calendario almeno un intervento per dire di quelli che erano i sogni del territorio dopo che era stato rifondato con l’avvento dell’Arsenale Militare. Avrebbe potuto essere una buona occasione (ma purtroppo la si è sciupata) per rendere la conoscenza del trascorso cosa non solo condivisa ma soprattutto partecipata ricordando le aspirazioni della collettività della quale in fondo siamo gli eredi.
Si andava formando allora una comunità del tutto inedita in virtù soprattutto del formidabile apporto migratorio che ci fu con l’Arsenale. Di tutta questa gente che non si conosceva un collante era proprio il sogno di crescita che non apparteneva solo alla Spezia ma anche all’intera area che oggettivamente traeva la linfa del suo prorompente sviluppo dalla città della flotta da guerra.
Provincialismo? Purtroppo, a volte il provincialismo è proprio il non voler considerare i propri confini.
Ma gli antenati, che già avevano ottenuto l’Arsenale ambito da molti, che cos’altro volevano?
Il fatto è che l’impianto militare aveva portato sviluppo e lavoro, ma anche la sudditanza a chi aveva risvegliato la Bella Addormentata nel Golfo. Siccome a una buona parte dell’economia locale faceva difetto l’autonomia, la volontà era di raggiungerla con un modello produttivo capace di contemplare accanto al militare anche l’iniziativa civile.
Tradotto in soldoni, volevano il porto mercantile.
Fu ardua impresa ottenerlo, ma alla fine, complice l’apertura di Suez che dilatò gli orizzonti, ce la fecero e il sogno di un’economia impiantata sul duplice binario militare-civile divenne realtà.
Da allora, la sua prima pietra venne posta il 20 settembre 1890, il porto è una costante importante delle attività del territorio e matrice di un ulteriore sogno: potenziarlo per renderlo competitivo e poterlo aprire ai mercati dell’Italia industriale e dell’Europa.
Se oggi il nostro scalo mercantile è un pilastro del Pil cittadino, lo dobbiamo a quel sogno perché i sogni non finiscono mai e quando diventano realtà ne generano altri. Fu così che venne la voglia della Provincia che fra tre anni diventa centenaria.
Ma quella voglia non sarebbe mai nata senza il sogno primario.
ALBERTO SCARAMUCCIA