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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Il lapis terminalis del Monte della Madonna

di Alberto Scaramuccia

Un disegno del lapis terminalis originale e una fotografia della copia

Dopo il menhir, peregrinando sulle alture intorno alla Spezia, Ubaldo Mazzini s’imbatte per caso in un’altra pietra dall’aspetto curioso. Ora è al Museo, dov’era allora hanno messo una copia, sul Monte della Madonna vicino al Telegrafo lungo un sentiero che al tempo segnava il confine la Spezia e Riomaggiore e che in precedenza marcava la frontiera fra quest’ultima comunità e Biassa. Il masso, a forma di mandorla, è alto 75 centimetri per 67 di larghezza e 37 di profondità. La faccia principale si presenta all’Ubaldo come un trittico, due sportelli ai lati di una tavola centrale con una strana figura scolpita di cui schizza subito il disegno. Nel mezzo è scavata una coppella di dimensioni ridotte e poco profonda: il fatto che coppella si chiami anche scodella, piatto fondo, aiuta a capirne il significato. Due liste che scendono verso terra piegandosi verso l’esterno separano i portelli laterali dal corpo centrale dove scende uno scavo che in maniera approssimativa raffigura una persona di genere maschile (è sessuata) con testa ed arti. Le braccia si alzano formando un cerchio che ingloba l’intera figura ed ha in basso due brevi prosecuzioni che fanno perdere l’antropomorfismo. Proprio sopra la testa si staglia iL braccio inferiore di una croce greca (ha braccia di uguale lunghezza) ed un’altra è incisa in basso sotto la circonferenza.
Sull’altra faccia, c’è una terza croce, ma latina (bracci diseguali) e sul lato sinistro sotto una scodella scavata in profondità se ne nota una quarta, greca, di minori dimensioni.
Inizialmente Mazzini pensa che la strana incisione rappresenti lo stemma di Riomaggiore, ma poi scarta l’idea perché serviva troppa buona volontà per accreditarla.
Dato che le quattro croci sono posteriori alla figura perché ne invadono l’area e sono scavate più profondamente, pensa che la figura con le coppelle fosse stata lavorata chissà quando mentre le croci sono opere del 13° o nel 14° secolo per, dice Mazzini, “cristianizzarlo”, il consueto fenomeno del sincretismo religioso. Invece, per la datazione della figura ipotizza addirittura il neolitico portando a sostegno della sua idea la rozzezza dello scavo ed il fatto che le coppelle sono caratteristiche di quel periodo.
Se poi ci chiediamo chi praticò sul masso quelle incisioni, la risposta è solo generica dato che più in là “di chi stava lì” non si può andare. Neppure sulla sua funzione si può essere precisi: una stele funeraria o un idolo da adorarsi oppure un confine fra tribù estesosi in tempi più vicini anche ad altre comunità contigue. Appunto: lapis terminalis, la pietra confinaria.

ALBERTO SCARAMUCCIA

Il Cai della Spezia, in collaborazione con Museo Civico Etnografico “Giovanni Podenzana” e Assofitram, organizza per venerdì 21 giugno una camminata sul Monte Parodi alla riscoperta del megalite. Clicca qui per maggiori informazioni.