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Il ricordo: "per noi è sempre stata la fine del lavoro"

Come un Ferragosto d’autunno, Cinque Terre prese d’assalto anche nel “ponte dei Morti”

Il sole e il marketing vestono le Cinque Terre con un costume inusuale per il “ponte dei Morti”. È il Ferragosto d’autunno: il mare, le spiagge, gli scogli, i bar, i ristoranti, le stazioni sono prese d’assalto da escursionisti in tenuta tecnica, bagnanti in bermuda e infradito e strane creature (bambine, ma anche adulte) dotate di ali nere, ragnatele sulle guance, pipistrelli sulla cintura, zucche in testa, corna di diavolo, superpoteri celati da martelli. Sono tanti, quasi troppi per essere accolti dagli esercizi che hanno già cominciato il letargo balneare.

Monterosso presa d'assalto dai turisti durante il Ponte d'Ognissanti

Qualcuno tuona contro la festa importata dagli Stati Uniti, qualcuno tuona contro il sole che allunga la stagione turistica. Eppure sia la tradizione della zucca intagliata che le belle giornate di sole di fine ottobre rimontano al passato più genuino di borghi della riviera. Non era come nelle vicine Val di Vara e Lunigiana, dove si festeggiava “il ben di’ morti”, con rispettive differenze da paese a paese, quando gli adulti preparavano un pane speciale e i bambini andavano in processione per le strade a chieder castagne, arance, mele e, nei casi più fortunati, focaccette, in cambio di una preghiera ai defunti. “Per noi a Monterosso la commemorazione dei defunti è sempre stata una fine del raccolto – racconta Angela Betta, preziosa custode delle tradizioni locali -, il momento che marcava la fine del bel tempo, la fine della vendemmia, la fine della pesca,… il momento in cui ricordare e ringraziare quei nostri morti che ci hanno lasciato in eredità la terra. Non sprecavamo tante zucche: non sprecavamo il cibo in generale. Ma mettevamo una zucca in cima alle scale, dopo aver intagliato gli occhi. E alla finestra mettevamo un lume. Non ricordo di aver mai mangiato dolci allora: al massimo facevamo il castagnaccio, e non sempre c’erano i pinoli”.

Monterosso presa d'assalto dai turisti durante il Ponte d'Ognissanti

La testimonianza: “Ricordo che mio padre per i morti voleva mangiare cavoli e panfritto. Castagne e cavoli erano tanti, e buoni. Io ancora adesso in questi giorni mangio le cose semplici: cachi, castagne e cavoli, i prodotti della nostra campagna. Quand’ero bambina facevamo la novena all’oratorio di Santa Croce, l’ottavario all’oratorio Mortis et Orationis e poi la messa per i morti a San Giovanni, alle quattro del mattino. Ci andavano tutti: ci portavamo le sedie da casa perché lo spazio era gremito. La mamma prima di scendere per la messa accendeva la stufa economica e metteva le castagne sul fuoco. Quando si tornava le castagne erano pronte per esser mangiate. Poi l’orario della messa è cambiato: si è spostato alle sei, poi alle sette,… domattina la prima messa è alle otto. E le sedie avanzano. Prima anche chi non veniva a seguire la funzione religiosa si alzava per quell’ora, perché aveva paura che i morti lo venissero a prendere nel letto. Ora tutto è improntato sul guadagno, ma il ricordo dei morti è sempre stato importante, è nel nostro vivere quotidiano. Almeno un giorno l’anno”. Anche se fosse Ferragosto.

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