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Le parole dell'ex responsabile provinciale della soprintendenza per i beni culturali

Asportati marmi e opere dalla chiesa di Santa Giustina, Donati: “E’ inaccettabile, spero che la magistratura apra un fascicolo”

La chiesa di Santa Giustina di Cesena, frazione di Varese Ligure, dopo l'asportazione dei marmi e delle opere
La chiesa di Santa Giustina di Cesena, frazione di Varese Ligure, dopo l'asportazione dei marmi e delle opere

Lo scempio a cui è stata sottoposto l’interno della chiesa di Santa Giustina di Cesena, frazione di Varese Ligure, negli ultimi giorni del mese di agosto ha mosso Italia nostra nel tentativo di fare luce su quanto accaduto. “Ci siamo attivati presso la Curia per avere notizie più dettagliate di un’operazione che pare più una depredazione pianificata che una semplice ristrutturazione (ma poi, autorizzata da chi, e come…?). Ci chiediamo se non sia possibile monitorare diversamente questo patrimonio appartenente comunque alla collettività italiana – indipendentemente dal culto professato – preziosa testimonianza di capacità tecniche, sensibilità estetica e aspetti sociali. Nell’esprimere la più convinta solidarietà a don Lagomarsini, auspichiamo che in breve sia fatta piena luce sull’accaduto, e sia ricomposto l’arredo sacro della cappella di Santa Giustina”, ha dichiarato nei giorni scorsi Luca Cerretti, presidente della sezione spezzina di Italia nostra.

La chiesa di Santa Giustina di Cesena prima dell'asportazione di opere e marmi

La chiesa di Santa Giustina di Cesena prima dell’asportazione di opere e marmi

 

Nonostante le rassicurazioni emerse sul trasferimento del materiale asportato, compresi i marmi del basamento del presbiterio, la balaustra in marmo e gli stipiti di ardesia dei portali laterali, l’attenzione sull’episodio non si dirada, soprattutto da parte di chi per professione e per passione ha dedicato tutta una vita alla conservazione dei beni culturali. E’ il caso di Piero Donati, ex soprintendente per i Beni culturali della provincia spezzina e attuale presidente della sezione apuo-lunense di Italia nostra.
“Sto seguendo con grande attenzione la vicenda della chiesa di Santa Giustina di Cesena, frazione di Varese Ligure, come cittadino, come storico dell’arte ed anche come esponente di Italia nostra. Conosco bene quella zona perché per venticinque anni, dal 1985 al 2010, ne ho avuto la cura quando prestavo servizio presso la Soprintendenza di Genova ed ho sempre pensato che il territorio, e non il mio ufficio genovese, fosse il mio vero posto di lavoro”.

Come è stato possibile arrivare oggi a un intervento del genere?
“Varese Ligure dipendeva fino al 1959 dalla Diocesi di Chiavari e ciò ha contribuito a creare una situazione di lontananza – mentale, più che chilometrica – fra l’Alta Val di Vara e gli Uffici di Via Don Minzoni; questa lontananza è la principale spiegazione del rifiuto della Curia – dominata allora dalla figura di don Gigino Orengo – di inoltrare a Roma, in occasione del Giubileo del 2000, la richiesta di fondi per creare nell’ex oratorio di Santa Sabina di Varese la quarta sezione del Museo Diocesano: un progetto caldeggiato dalla Soprintendenza fin dal 1989”.

Cosa pensa di quanto avvenuto nelle scorse settimane in Val di Vara?
“Ciò che è accaduto il 30 agosto è inaccettabile da tutti i punti di vista e spero che la magistratura apra un fascicolo, anche perché c’è la cosiddetta notitia criminis, con foto eloquenti. Una porta laterale è stata forzata, e già questo è indizio incontestabile della irregolarità dell’operazione. Le persone intervenute, a cominciare dal parroco di San Pietro di Comuneglia (altra frazione del territorio varesino), non avevano alcun titolo a farlo, dato che la chiesa di Cesena dipende dalla parrocchia di San Giovanni Battista di Varese, e non risulta che ci fosse l’assenso del Vicario Foraneo della Val di Vara, monsignor Giorgio Rebecchi di Brugnato, unico rappresentante della Curia in zona”.

L'ingresso laterale della chiesa di Santa Giustina di Cesena

L’ingresso laterale della chiesa di Santa Giustina di Cesena

 

E per quel che riguarda le modalità di intervento?
“Al di là della forma, la procedura seguita fa acqua da tutte le parti: un conto è rimuovere i pochi oggetti mobili ancora presenti all’interno (un crocifisso, un paliotto d’altare, la piattaforma processionale di Santa Giustina, alcuni candelieri), altra cosa è rimuovere la balaustrata di marmo, i gradini dell’altare, l’acquasantiera pensile e addirittura gli stipiti in ardesia delle porte interne: tutte cose che non hanno valore sul mercato antiquario ma ne hanno nel sottobosco dell’edilizia”.

L’episodio accende un campanello d’allarme sulla conservazione dei beni ecclesiastici o si tratta di un caso che possiamo ritenere isolato?
“Quante chiese come Santa Giustina ci sono nell’entroterra ligure e nelle zone spopolate dell’Appennino? Quali garanzie offre la Chiesa Cattolica di una loro adeguata tutela? In questo campo i rapporti fra la Repubblica (che con l’articolo 9 della Carta Costituzionale ha solennemente sancito i propri doveri in merito) e la Conferenza Episcopale sono regolati dalla cosiddetta Intesa Veltroni – Ruini del 13 settembre 1996. Sono dunque passati ventotto anni: un lasso di tempo più che sufficiente per procedere ad una verifica dei risultati che l’intesa ha prodotto. Lo esige il buon senso, lo esigono soprattutto le notizie come quelle che ci arrivano dalla Val di Vara, notizie allarmanti per i cittadini ma, a quanto pare, non per i funzionari di Soprintendenza”.

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