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Luci della città

Storie di donne che hanno provato a cambiare il mondo: Luigia

Luigia Cordati Rosaia

Luigia Cordati Rosaia è stata un’ottima professoressa di matematica, ancora oggi ricordata con ammirazione dai suoi studenti dell’Istituto Magistrale, e una donna impegnata in politica, il cui operato ha lasciato tracce profonde, innanzitutto nella nostra città. Ma per me è sempre stata “la Luigia”, madre di Bruno, mio amico fin dalla IV Ginnasio, nel 1968-1969.

Certamente la ricordo anche come “proffe”: mi insegnò la matematica nelle ripetizioni che mi dava, facendomi scoprire un metodo di insegnamento della materia assolutamente nuovo rispetto a quello a cui io – insieme a tutti gli altri che non erano suoi alunni – ero abituato. Alle Magistrali sperimentava la “matematica moderna”. Su questo la Luigia ha scritto molti libri di testo, alcuni dei quali ancora adottati. Nel corso della mia ricerca per il libro “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” – a cui Luigia ha contribuito con una testimonianza di grande interesse – scoprii che il pedagogista Fiorenzo Alfieri, nel libro “Il mestiere di maestro”, la ricordava come una sorta di “pioniera”, docente di logica matematica nei corsi del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), del quale entrambi furono attivisti.

Soprattutto ricordo la Luigia come donna impegnata in politica. All’inizio era consigliere comunale del PCI, ed ebbe su di me – insieme a Bruno, molto più “formato” – una forte influenza, come ho ricordato nel libro. Fu attraverso lei che conobbi “il partito”, di cui era un’esponente “eretica”: l’unica “ingraiana” di una Federazione molto “amendoliana”. Ingrao e Amendola erano i rappresentanti dei due opposti “revisionismi” rispetto alla politica del “centro” del partito: io fui vicino in fasi diverse a entrambi, considerandoli come le posizioni più vitali nel partito, anche se parziali. Ci sarebbe stato bisogno di un “centro” capace di una sintesi che cogliesse il meglio delle due posizioni, invece che operare sterili mediazioni. Così non fu: ma questo è un altro discorso. Certamente la Luigia ebbe influenza sul mio iniziale “ingraismo”, che per me significava innanzitutto attenzione a tutto ciò che si muoveva nelle contraddizioni della società, ma soprattutto sul punto dell’importanza della scuola e della cultura nella politica: questo è un tratto che in me è poi rimasto sempre, e che penso di dovere per molti versi a lei.

La Luigia capì il Sessantotto come pochi altri, nel mondo politico e culturale di allora. Nel Consiglio Comunale del 13 dicembre del 1968, durante la “grande occupazione” delle scuole superiori, disse:

“…e qui parlo come insegnante” dobbiamo prendere atto “che la lotta che portano avanti gli studenti oggi  è la nostra lotta, noi dobbiamo renderci conto che loro fanno quello che forse, in un modo o in un altro, noi avremmo dovuto fare molto tempo fa”.

La Luigia capì quello che allora era abbastanza chiaro, ma che poi fu dimenticato quasi da tutti: che il Sessantotto era nato come movimento per democratizzare la scuola e le relazioni quotidiane, e che le tematiche che aveva messo al centro erano essenziali per cambiare la società. Grazie alla cura della Memoria di Dino Grassi mi sto sbattendo per far capire che la sinistra non esiste se non rappresenta il mondo del lavoro, ma nel contempo – la ricerca sul Sessantotto me l’ha reso ancora più chiaro – insisto sempre sul fatto che il punto di vista “di classe” non basta, che oltre al lavoro ci sono il sapere e il “senso della vita”, e che i due temi devono assolutamente essere intrecciati. Ma di questo sono convinto fin dal Sessantotto, grazie all’insegnamento della Luigia.

La sua testimonianza nel libro, a distanza di  cinquant’anni, è del tutto coerente con le sue posizioni di allora:

Ero dalla parte del movimento. Nel Sessantotto emerse la grande importanza della scuola nella vita della nazione: ma la politica non ne parlò. Ora ci si accorge di quanto conti la scuola, ma forse è troppo tardi per agire…

Allora ero una dirigente del PCI: l’unica ‘ingraiana’ della Federazione. Il PCI fu ambiguo, senza una posizione chiara. Non capì la lezione di don Milani: era la prima volta che si dicevano quelle cose… Don Milani ci diceva dell’importanza della scuola, ma il PCI dimenticò la scuola, non recepì le vere istanze del Sessantotto.

Al centro della rivolta c’era la scuola, ma nessuno si fece carico della cosa.

Serviva l’idea, il progetto di un’altra scuola. Invece tanti insegnanti non lavorarono su questo, capirono male: si comportarono come se gli studenti fossero amici. Io sono sempre stata l’insegnante, e gli studenti gli allievi. In un modo radicalmente diverso rispetto al passato: ma questo rapporto doveva restare”.

La sostanza di questa posizione fu espressa dalla Luigia nell’intervento al nono Congresso della Federazione provinciale del PCI (gennaio 1969):

“Il primo dovere del partito è quello di far penetrare la lotta per la democratizzazione della scuola tra le masse dei lavoratori, perché la lotta per la democratizzazione della scuola è fondamentalmente un problema dei lavoratori… […] Io arrivo a dire che questo dovrebbe entrare anche a livello di sindacato. Io penso che uno sciopero generale indetto dalla CGIL per il diritto allo studio, perché la scuola dell’obbligo diventi veramente gratuita, sarebbe un motivo fondamentale di lotta per la classe operaia”.

Invece il tema della scuola rimase in ombra nella politica, di tutta la politica. “Centrale” per tanto tempo fu solamente la fabbrica: l’altra nuova “centralità”, la conoscenza, andò perduta.

Il tema restò vivo in tanti insegnanti, e anche in tanti amministratori locali – il ruolo che la Luigia assunse – che diedero vita a quella che è stata definita “militanza pedagogica dal basso”: la scuola certamente, grazie a loro, cambiò in meglio. Ma senza un progetto politico generale poi tutto rifluì. Fino alla grave crisi di oggi: ho fondato nel 2008 un’associazione culturale composta in buona parte di insegnanti, sono testimone di una perdita progressiva di entusiasmo, di impegno… Di una crisi politica e culturale, di “senso della vita”…

Ovviamente ricordo la Luigia anche come madre. Scorrazzavo sempre a casa sua: mi trattava come i suoi “figlioli”. Dal passo precedente – “Io sono sempre stata l’insegnante” – si capisce che non voleva essere autoritaria ma che non rinunciava giustamente al ruolo di educatrice, anche come madre. E quindi ci lasciava fare, ma le “dritte” non mancavano. D’estate andavamo a Bonassola, poi da lì alla sera a Levanto, alla ricerca di un’improbabile “movida”. Una notte perdemmo l’ultimo treno, dormimmo in una panchina alla stazione e tornammo all’alba. I cellulari non c’erano ancora, non trovammo i gettoni… La Luigia ci aveva aspettati sveglia, e ci fece la lavata di capo che meritavamo. Quando Bruno occupava il Liceo lei si oppose al fatto che restasse anche la notte. Lui si ribellò, lei alla fine accettò – a differenza dei miei, che furono irremovibili – ma ogni notte insieme al marito Giuliano passeggiava in piazza Verdi, per timore che succedesse qualcosa. Non era autoritaria, ma l’autorevolezza non la perse mai. Un’autorevolezza sempre garbata: era toscana di Barga, un luogo gentile. A Barga fui suo ospite nel 1986, quando si fece una grande mostra dei quadri del padre Bruno, interessantissimo pittore.

Il caso volle – o forse non fu un caso – che dal 1979 al 1988 fui il responsabile della scuola e della cultura per la Federazione del PCI, mentre lei era assessore comunale, poi consigliere regionale, poi deputata, sempre impegnata su questi temi. Quindi il nostro contatto era quotidiano. Nel 1979 mi accompagnò alla mia prima riunione nazionale a Botteghe Oscure, nello storico “salone del quinto piano”. Alla fine mi portò a pranzo in una trattoria tra il “Bottegone” e il Ghetto, in compagnia di Armando Cossutta, che condivideva con lei l’amore per Bonassola e che conobbi per la prima volta. A Bonassola Cossutta faceva vita ritirata: ricordo solo che mi chiamò un Ferragosto di qualche anno dopo – io ero “di turno” – perché gli si era rotta la macchina. In peggior mano non poteva capitare, ma allora un compagno alla bisogna si trovava sempre, e rimediai. La Luigia mi portò per la prima volta anche a Torino, per una riunione con Fiorenzo Alfieri, assessore comunale alla scuola, alla cultura e ai giovani, con cui poi collaborai per anni. Erano una coppia geniale. Ricordo che cenammo alle sette, in una Torino “città fabbrica”, a quell’ora deserta. Pochissimi locali aperti, tutti in casa, nessun turista. Con Fiorenzo poi ci inventammo lui “Luci d’artista”, io “Di luce in luce”: l’arte che illumina le città. Ma lui ebbe più fortuna di me. Peccato, perché la cravatta di Cosimo Cimino e il cavallo a dondolo di Giuliano Tomaino erano più belli di tante opere torinesi. Ma da Torino portammo comunque tante idee, condivise in quell’incontro.

La Luigia rivoluzionò i servizi per l’infanzia: gli asili nido furono riconosciuti servizi educativi, e passarono dall’assessorato ai Servizi Sociali a quello alla Pubblica Istruzione, con un coordinamento tra i nidi e le scuole materne dai tre ai sei anni. Nidi e materne furono ampliati di numero, il personale fu aumentato e qualificato… Nel 1981 – dal 1980 la Luigia era già in Regione – tenemmo alla Spezia un convegno nazionale sui nidi. Per i ragazzi furono creati i Centri per il Tempo Libero, nacquero gli itinerari didattici, gli scambi scolastici… La scuola si apriva alla città.

Ci occupavamo anche di cultura: la Luigia era stata presidente della Commissione amministratrice del Teatro Civico, e in Regione fu molto attiva in materia. Allora le Regioni facevano le leggi – cioè il loro mestiere  – non come ora che appiccicano per terra dei tappeti rossi… per non parlare d’altro. La Luigia aveva avuto l’idea del Teatro Civico come teatro di produzione, e propose allo scrittore Gianni Rodari la produzione di uno spettacolo “per i ragazzi e soprattutto dei ragazzi”. La “Storia di tutte le storie”, che ancora oggi va in giro per l’Italia, aveva come soggetto le storie dei bambini delle nostre scuole elementari. Ci battemmo, ma fummo sconfitti nel partito, per un’Associazione provinciale per lo spettacolo, che unisse i teatri della provincia affinché diventassero luoghi di produzione culturale. Prevalse purtroppo, come in seguito, la logica municipalistica, non quella “strategica”.

Venne anche la sconfitta politica, la fine del PCI. “Chi l’avrebbe mai detto: sono passata dagli editoriali della Rossanda sul ‘Manifesto’ a quelli di Travaglio sul ‘Fatto’”, mi diceva sempre. Convenivamo sul fatto che una storia era finita, anche per responsabilità dei nostri gruppi dirigenti, che non avevano saputo custodire la Storia e le storie della sinistra. Finito il PCI non aderì più ad alcun partito. A differenza di me, che mi battei e mi illusi ancora a lungo, fino al 2007.

“La matematica non mi è mai piaciuta”, diceva la Luigia esagerando. In realtà univa le due culture: non a caso era figlia di un pittore, ma anche di una maestra. Scrisse un libro sui rapporti tra musica e matematica. Suonava il pianoforte a quattro mani con il nipote Alessandro Bertirotti. Amava, inoltre, la poesia: mentre scrivo ho tra le mani un libro che mi aveva regalato con una bella dedica, “I Sonetti” di William Shakespeare. Traduzione e note critiche di Luigia Cordati Rosaia”. Sulla parola “critiche” mise una croce: non le piaceva.

Luigia Cordati Rosaia

Le pagine finali dell’introduzione si concludono così:

“I quattro personaggi umani vivono e agiscono in un mondo spesso ostile, pieno di vanità, ingiustizie, corruzione, ignoranza. Su questi personaggi e questo mondo, scorre immutabile e terribile il quinto personaggio, il Tempo: al giovane amico può succedere di scordarlo, ma il Tempo non si scorda mai di lui… E contro il Tempo, il Poeta combatte con i suoi versi una costante generosa battaglia”.

Il Tempo, inesorabile, si è portato via anche la Luigia. Ci restano tante cose di lei, però: l’impegno per la scuola e la cultura, l’amore per la vita, la ricerca di un altro mondo possibile. Attraverso la nobiltà della politica, ma anche attraverso i linguaggi dell’arte.

Una volta, a cena, Luciana Castellina, che a Ingrao fu vicinissima, mi disse: “E’ solo poeta, è come se il PCI non fosse mai esistito”. Chissà, forse con la poesia il “vecchio Pietro” – e la Luigia – volevano oltrepassare i limiti della politica. Le parole dei poeti forse raggiungono il mistero.

lucidellacitta2011@gmail.com

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