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Storie di donne che hanno provato a cambiare il mondo: Paola

Paola Gari ed Eliano Andreani

Con Paola Gari se ne è andata la figura che più di ogni altra a Sarzana ha impersonato, per oltre sessant’anni, l’impegno per la sanità pubblica e più in generale per una società più giusta e solidale. Come ha scritto Pino Lena, nostro amico comune, “Paola era un alfiere dell’art. 3 della Costituzione: ‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali’. Nel contempo confidava nel principio di responsabilità individuale. Tutto il suo lavoro di dirigente della sanità, di dirigente a difesa del bene pubblico, stava nella valle tra questi due picchi, uguaglianza e responsabilità”.
Laureata in Giurisprudenza all’Università di Genova, poi procuratore legale, Paola divenne segretaria dell’Ospedale di Sarzana nel 1961. Volle fermamente il nuovo Ospedale ideato da Giovanni Michelucci, e si batté sempre, fino alla fine della sua vita, contro il suo svuotamento e abbandono.
Ma Paola è stata molto di più. Egidio Banti l’ha definita “samaritana”, ricordando il suo impegno nell’associazione Amici di padre Damarco, per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti.
Esponente del mondo cattolico progressista, Paola nel Sessantotto “svoltò”. Una specificità del Sessantotto locale e nazionale fu proprio la presenza dei cattolici. Ciò derivò da un’inventiva e da una capacità di riflessione e di utopia messe in moto dal Concilio Vaticano II. I cattolici influirono sulla “contestazione” ma ne restarono anche segnati. Ne scaturì un intreccio assai interessante tra l’immaginario delle culture libertarie del “Sessantotto degli inizi”, quello marxista e quello del cristianesimo dei poveri e della pace.
Nei due volumi di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” ho raccontato questa bella pagina di storia. Paola aderì nel 1969 al gruppo di Azione Comunitaria, con la sorella Giuliana, Alfredo Giusti e la moglie Grazia, Corrado Bernardini e la moglie Luisa, Giorgio Picchi, Piero Donati, Luciano Callegari e altri.
Una figura chiave, per la maturazione di Paola e di molti giovani sarzanesi e spezzini, fu padre Vincenzo Damarco, frate vincenziano che il cattolicesimo conservatore cacciò dalla FUCI, l’associazione degli universitari cattolici di cui era assistente spirituale, nel 1968, e definitivamente da Sarzana nel 1971 (ne ho scritto in questo articolo della rubrica).
Racconta Paola nel libro:

“Ero di formazione cattolica, conoscevo bene padre Damarco, lui ci ha aperto la mente. Fu lui la figura chiave del ‘cattolicesimo del dissenso’ sarzanese”.

L’altra figura chiave fu Sandro Lagomarsini, che rimase a Sarzana per meno tempo, e fu presto isolato in montagna, a Cassego. La sua influenza fu grande: portò a Sarzana la lezione di don Milani.
Questo il ricordo di Alfredo Giusti:

“Più a lungo di don Sandro, abbiamo avuto la fortuna di avere con noi padre Vincenzo Damarco, sacerdote di grande cultura in molti campi e di rara competenza teologica, che alimentava con letture fatte venire dalla Francia perché ancora proibite in Italia.
Oltre che studioso di qualità, è stato anche insegnante di grande valore, che sapeva conquistare l’affetto e la stima di alunni e genitori.
Assistente della FUCI, fu animatore e stimolo alla ricerca per molti giovani. La sede dell’associazione, ospitata nel Palazzo vescovile di via Mazzini, vedeva a nostra disposizione tutte le più qualificate riviste del mondo cattolico, che non mancavano di dare voce alle posizioni più avanzate.
Le scelte di padre Vincenzo toccavano anche la dimensione sociale e politica. Come quelle di don Sandro, anche le sue prediche accusarono le violenze americane in Vietnam.
E fu motivo di grave scandalo – in un contesto locale ancora chiuso ed ostile ad ogni rinnovamento – il fatto che, alla vigilia di una tornata di elezioni politiche, rifiutasse la logica del tradizionale collateralismo alla DC e desse voce, nella sede della FUCI, a tutte le forze politiche.
Motivo di non minore disapprovazione della gerarchia fu la sua partecipazione a una pubblica assemblea, organizzata dal PSIUP al Teatro Impavidi con la presenza di Tullio Vecchietti, leader di quel partito.
Anche padre Damarco pagò duramente la propria onestà, libertà e l’amore della verità che lo animava. Il Vescovo tolse alla FUCI le chiavi della sede che aveva ospitalità nell’Episcopio. E successivamente, le forti pressioni sui suoi superiori – da parte di confratelli ostili, di un clero miope e conservatore e di autorevoli esponenti della borghesia sarzanese – ottennero il suo allontanamento da Sarzana per la sede vincenziana di Verona”.

Leggiamo Corrado Bernardini:

“Padre Damarco era la figura più riflessiva, quella che ci diede di più in termini teorici. Lo incontravamo tutti i sabati nella sede della FUCI”.

Ma il legame più personale il frate vincenziano lo ebbe proprio con Paola:

“Conobbi padre Damarco nel maggio 1960 in Ospedale, vicino al letto di mia madre gravemente ammalata, dove venne ogni giorno, fino al momento della sua morte; aveva una particolare sensibilità per la sofferenza degli ammalati, che ha sempre seguito con affettuosa dedizione.
Dopo la scomparsa di mia madre cominciammo a frequentarci all’interno di un gruppo (tra cui anche alcuni dipendenti ospedalieri, che aveva conosciuto durante le sue visite ai ricoverati) per ascoltare le sue riflessioni sul Vangelo della domenica. Ben presto i gruppi di lettura del Vangelo aumentarono sia a Sarzana che alla Spezia che a Carrara”.

Nel 1969 Paola Gari era già vicina al gruppo extraparlamentare Lotta Continua.
Un’asse politico-culturale, che legava il mondo cattolico alla DC, si era rotto, e disperso in più rivoli.
In Paola influì l’incontro con Eliano Andreani, il grande amore della sua vita. Lo conobbe nel 1969, si sposarono nel 1970 (li vediamo nella foto in alto). Ecco ancora il racconto di Paola:

“Anche gli amici ci sconsigliavano di sposarci: ‘E’ impossibile che stiate insieme, da tanto che siete diversi’, dicevano. Ed invece…
Era un bravo operaio, specializzato in campo elettronico. Ed era una persona buona e generosa. Studiava molto, era stato dieci anni nel Collegio di padre Semeria a Monterosso. Si impegnò in Lotta Continua fino all’ultimo, poi si diede al sociale. Ha passato anni a portare i tossicodipendenti a Pietrasanta a prendere il metadone. Collaborava con lo psichiatra Giovanni Marra.
Nella nostra casa hanno vissuto in tanti: […] per due-tre anni alcuni esuli argentini… Abbiamo preso in affido due ragazzi figli di detenuti…”

Eliano morì il 7 dicembre 2014. Pino Lena scrisse allora questo biglietto a Paola:

“A Paola
Un cavaliere solitario
Eliano era un ‘cavaliere solitario’ a tal punto da farsi, qualche volta, cavallo.
Era uno che praticava l’arte antica del ‘dono’ (arte silenziosa).
Ma non dare come atto unilaterale, atto di assistenza, da uno forte verso uno più debole, ma atto che richiede, nelle modalità in cui si esprime, la reciprocità.
E non richiede, anche se celata dietro un sorriso, una restituzione immediata, rapida, visibile nel tempo e nello spazio.
No.
Una reciprocità richiamata dal gesto del donare che si perde (si nasconde) nel tempo e nello spazio, ma costituisce comunque un forte richiamo: ritorna la risposta, forse… certamente non al singolo donatore; ritorna in gesti di altri che, così facendo, migliorano la loro attitudine a donare a loro volta.
Cosi si attiva una relazione dialettica, invisibile, clandestina, ma presente, fortemente presente nella realtà delle relazioni… fino a quando la persona a cui è stato donato, spinta dalla lontana energia del ‘donatore’, non diventi lei stessa donatrice… attivando una rete all’infinito; è il ricamo di un tessuto-tappeto volante sul quale volano le fantasie della nostra timida speranza.
Questo comportamento discende dalla migliore tradizione cristiana e comunista dell’Occidente.
Per questo dico: Eliano è un ‘cavaliere solitario’ che nelle praterie dell’infinito galoppa sorridendo.
Ciao Pino”.

La casa di Paola ed Eliano fu per molti anni un porto franco e generoso per tanti. Samaritiani cristiani e comunisti? Aveva ragione un altro comune amico, Marcello Palagi, in un ricordo del 2014:

“Chiamalo come vuoi, cristianesimo, induismo, islamismo, marxismo, ateismo, ma se c’è un paradiso, è per questi beati imperfetti e in viaggio, altrimenti è meglio che non ci sia”.

Quando Paola ed Eliano si sposarono a Cassego – celebrò don Sandro, ma non in chiesa, bensì nel doposcuola – i ragazzi del doposcuola scrissero a Paola una lettera, con queste parole:

“Ci sono di quelli che con il matrimonio diventano egoisti, si interessano dei propri affari e della propria casa. Non si deve fare così. Si deve stare tutti assieme perché l’unione fa la forza. Anche voi essendo sposati potrete fare di più per tutti i poveri di questo mondo. Vi auguriamo di essere sempre felici come in questo giorno”.

Paola ed Eliano hanno dedicato la vita ai poveri di questo mondo. L’ultimo dono di Paola è stato per l’iniziativa dell’associazione Amici di padre Damarco che ho raccontato in questo articolo della rubrica.
L’appartamento di Ortonovo che ospitò una famiglia siriana in fuga dalla guerra era di Paola.
A Sarzana, proprio in questi giorni, è in corso il “Festival della mente”, meritoriamente dedicato alla gratitudine. Per guardare al futuro con speranza è necessaria la charis, parola greca che significa “gioia” ma anche “gratitudine”. E’ necessario cioè agire secondo l’etica della cura, senza calcolo.
Per spiegarlo servono certamente anche gli intellettuali famosi. Ma sono convinto, a proposito del Sessantotto, che serva anche e soprattutto il richiamo alla concreta esperienza individuale. Il libro più letto e che più influenzò quella generazione fu “Lettera a una professoressa” della scuola di Barbiana: in essa i giovani ritrovarono l’originalità di un linguaggio e di un metodo di indagine che muoveva dalla concretezza dell’esperienza personale. L’ancoraggio di una teoria alla situazione concreta è ancora una lezione di metodo fondamentale, se vogliamo stimolare il coinvolgimento di tante persone nell’etica della cura, che è oggi – nel tempo del neoliberismo e della vita ridotta a calcolo – il modo attuale della “contestazione”. Sarebbe stato bello, al Festival, raccontare la vita di Paola, una donna semplice che ha provato a cambiare il mondo.

Paola Gari ci ha lasciati il 5 agosto 2024.

Paola Gari

lucidellacitta2011@gmail.com

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