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Storie di donne che hanno provato a cambiare il mondo: Ivana

Vega Gori "Ivana"

Vega Gori scelse da sola il nome di battaglia, Ivana. In una bella testimonianza rilasciata nel 1994 all’Istituto ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, Ivana dice:

“Anche ora mi chiamano tutti Ivana, il mio nome proprio pochi, poi è un nome un po’ strano […] Vega non piace agli spezzini”.

E allora in questo “ritratto” la chiamerò Ivana, come lei avrebbe voluto. La sua storia è stata raccontata in un libro del 2013, di cui è autrice con la figlia Maria Cristina Mirabello, di cui ho scritto in questo articolo della rubrica.

La testimonianza del 1994, rilasciata quasi dieci anni prima, è ovviamente più viva in certi ricordi, e ha una forma più colloquiale e meno “controllata” rispetto a quella consegnata a uno strumento così importante e “ufficiale” quale “il libro della propria vita”.

Vega Gori

 

Tutto cominciò nella casa dove Ivana abitava con la madre e i due fratelli, mentre il padre – anarchico individualista spesso senza lavoro, in quella fase imbarcato in una nave – era stato fatto prigioniero in Australia. Grazie al contatto con il giovane comunista Pino Borrini, una sera venne a casa un giovane comunista che era stato in Francia, Franco Diodati “Renato” [in realtà si chiamava Arrigo, anche “Franco” era un nome di battaglia]:

“Era un bellissimo giovane, poi si presentava come nei libri che si leggeva a quei tempi là, con la giacca nera di pelle, un bellissimo giovane, incuteva anche timore, perché era alto, così prestante e noi eravamo tutti dei ‘disgraziati’ lì. E questo ragazzo qui allora ha detto che bisognava cercare di darsi da fare, di cercare delle armi, avere contatti con le persone che lavoravano negli stabilimenti dove facevano le armi, perché bisognava organizzarsi per aiutare queste bande di sbandati che dovevano a sua volta formare qualcosa”.

Quei ragazzi riuniti in casa Gori cominciarono a scrivere dei manifestini clandestini che attaccavano poi in paese.

“Renato” fu “bruciato”, cioè scoperto dalla polizia, quasi subito, e tornò a Genova. Ivana incontrò, a Porta Sprugola, Anelito Barontini, il segretario del PCI, che le disse che avrebbe lavorato con Franco Poggi [Giuseppe, Franco era il nome di battaglia], un altro dirigente del partito ligure inviato a Spezia. Usava così, i dirigenti dovevano venire da fuori, perché non conosciuti. Barontini, infatti, andò a Genova. Poggi, che Ivana incontrò una volta sola, fu subito ucciso dai fascisti, per caso, nel senso che non sapevano chi fosse. Ivana conobbe allora Antonio Borgatti “Silvio” –  che dalla fine del maggio 1944 era il nuovo segretario del PCI spezzino, anch’egli proveniente da Genova –  e fu sempre al suo fianco come segretaria, fino a dopo la Liberazione, quando fu inviato a Roma alla CGIL. Aveva fatto un corso da dattilografa. Quando Borgatti le disse: “D’ora in avanti le cose avranno proprio una continuità, se te la senti di dedicarti…”, Ivana lasciò il lavoro precario che aveva e gli disse sì.

La macchina da scrivere fu collocata nella casa di Giovanni Botto, vicino a dove abitavano i Gori; poi, per motivi di  sicurezza, in una baracca di Paolo Bernardi con le pecore, dentro il bosco, sempre nei paraggi:

“E lì io ci ho passato parecchi mesi dell’inverno, in quei mesi freddi […] dentro a questa baracca dalla mattina alla sera, col fetore delle pecore,una cosa atroce”.

Ivana batteva a macchina i documenti del PCI e anche del CLN, perché Borgatti divenne anche il rappresentante del PCI nel CLN.

Ma la testimonianza di Ivana non è importante per i documenti – che ovviamente non ricorda – o per le persone incontrate quando faceva la staffetta – che nemmeno conosceva. Anche presso le formazioni partigiane non andò mai, se non una volta per andare a trovare insieme alla madre il fratello partigiano nella Brigata Julia:

“Lui stava bene, era fra quei partigiani che mangiava bene, lui. Mi ricordo come adesso che ci han dato le uova fritte, noi non sapevamo nemmeno come erano fatte, è una zona ricca quella lì, non come questi poveri disgraziati che erano nello Zignago, che hanno fatto una vita da cani [gliela raccontò il marito, Giuseppe Mirabello “Apollo”].

Il che è una sacrosanta verità: la Resistenza nelle nostre zone fu difficile anche per la scarsità di alimentazione. Tutti i ribelli hanno sempre ricordato il morso terribile della fame.

La testimonianza di Ivana è importante perché ci fa capire cosa fu la Resistenza, e quella delle donne in particolare.

La Resistenza di cui ci parla Ivana è la Resistenza dei comunisti, i cui capi venivano dal confino, ed erano diversissimi dai partigiani, che erano giovanissimi. Le prime parole di Barontini a Ivana furono: “Dio mio, come sei giovane!”. Mentre Borgatti:

“Mi diceva ‘Guarda, ci troviamo qua… ci troviamo là’, lui aveva tanti anni più di me, un po’ che era trascurato, poverino, anche lui, in quel periodo, sembrava mio nonno invece di mio padre. Lui avrà avuto vent’anni più di me […] Lui diceva sempre ‘Non chiedere mai niente, e non dire mai niente’ e io non chiedevo niente”.

Per il Partito la staffetta era fissata gerarchicamente al proprio ruolo. Non aveva un ruolo secondario, ma era un ingranaggio, sia pure importante, di una macchina organizzativa complessa. Per le ragazze – così come per altro verso per i ragazzi ai monti – l’esperienza partigiana era una maturazione esistenziale e politica, il cui nucleo iniziale fu una scelta morale per la giustizia:

“La Resistenza mi ha maturato […] nell’essere portata verso gli altri per un qualche cosa […] mi sono resa conto di cosa è la vita […] bisogna uscire di casa per conoscere il mondo e poi ognuno prende le sue decisioni, prende le sue responsabilità”.

Non si sentivano un ingranaggio.

Quando vedevo Ivana, negli ultimi anni, era sempre immersa nella lettura. Era una lettrice onnivora di testi anche importanti, impegnativi. Fu forgiata in tal senso forse anche da Borgatti, che nelle poche occasioni in cui le parlava cercava di spiegarle la teoria del plusvalore in Marx! Ma soprattutto fu educata dal padre autodidatta, amante della lettura:

“Mio padre diceva sempre che bisogna leggere [altrimenti] la mente non si può aprire”.

E’ significativo che nel ‘94, crollato ogni mito, Ivana dica:

“Io non tornerei indietro per le vicende degli ultimi anni, ma per quelle vicende lì sì. L’unica cosa che tornerei indietro è per quello. […] Quel periodo è l’unico periodo della mia vita che ricordo con gioia”.

Ivana divenne donna:

“Veramente mi sono sentita donna […] rispettata come donna, tanto”.

Salvo in un caso. A marzo 1945 il partito ligure mandò un altro “rinforzo”, Giulio Migliorini , che reggeva il partito a Spezia perché Borgatti, ricercato, si era dovuto spostare ai monti, presso la Brigata Muccini sarzanese. Giulio andò a vivere a casa di Ivana:

“Aveva una fifa indiavolata, una sera abbiamo anche litigato, non mi piaceva quell’uomo lì. […] questo tizio non mi dava fiducia neanche un po’ perché se poteva allungava le mani”. Dice Ivana:

“Dopo la liberazione, quelli farfallini si sono persi, le persone serie sono rimaste serie”.

Nelle formazioni partigiane i rapporti tra i sessi furono generalmente corretti, anche se ovviamente non si viveva in modo monacale e sbocciarono normali sentimenti di amicizia, amore, attrazione fisica. E tuttavia vi furono anche casi di degenerazione. Ivana ci racconta come prevalse la moralità  dei ribelli, ma anche che vi furono – perché anche i partigiani erano umani – episodi di immoralità.

Resta da dire sul dopo. Alla domanda “Lei avrebbe voluto fare politica a livello più attivo?”, Ivana risponde: “No, io no, no, no”. Si dedicò alla famiglia. Nell’articolo del 2013, un po’ schematicamente, scrissi che fu un peccato, pensando alla ricchezza del contributo che sarebbe potuto venire alla società. Non c’è dubbio: la presa dei valori tradizionali ebbe il sopravvento sui fattori innovativi, e la stragrande maggioranza delle partigiane rientrò nei ruoli consueti in seno alle famiglie. E tuttavia Ivana fu buona moglie, madre, suocera e nonna, aiutando/educando marito, figlia, genero, nipote e pronipote. Non fu forse un ruolo sociale importante anche questo? E poi si impegnò a lungo per la memoria della Resistenza. Poco prima di spegnersi ha trovato la forza di rispondere alle domande dei bambini della scuola 2 giugno. No, la Liberazione per lei non si fermò alle porte di casa.

Ivana ci ha lasciati il 30 maggio 2024.

lucidellacitta2011@gmail.com

Vega Gori

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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