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Las Pezia Calling

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Chiamata 16 – Stefano Daveti (1961-2024). Un ricordo partecipato

Copertina e retro del depliant realizzato per "Fall Out 7 segni in caduta libera sulla città", Centro Allende La Spezia, 1991
Copertina e retro del depliant realizzato per "Fall Out 7 segni in caduta libera sulla città", Centro Allende La Spezia, 1991 - Courtesy Cristiano Guerri

“Con la consapevolezza di voler raccontare in un’opera il processo della creazione artistica attraverso intersecazioni compenetrazioni di forme colori oggetti che affollano la mente e l’invisibile, le memorie del passato, il presente espresso nell’immobilità dell’oggetto che dà mobilità al pensiero”.

Stefano Daveti, 1991

 

A giugno 2024 Stefano Daveti, nato alla Spezia nel 1961, cresciuto al Favaro, vissuto tra La Spezia e Sassari e trasferitosi circa dieci anni fa nel Comune di Villa Minozzo (RE), ha subito un’aggressione in casa sua che lo ha portato, dopo alcuni giorni di agonia, alla morte. Il fratello Renzo ha organizzato per lui una fiaccolata l’8 luglio 2024 al Favaro in Piazza Giuliano Maccione, cui hanno partecipato molti amici. Ho conosciuto Stefano verso la fine degli anni Ottanta del XX secolo, quando ho stretto amicizia con alcune persone con cui potevo condividere l’attrazione e l’attenzione verso l’arte contemporanea. Frequentavo il DAMS di Bologna e di ritorno da una vacanza in Inter Rail, grazie a mia sorella Silvia, conobbi Alfio Antognetti, Cristiano Guerri, Davide Bini, Fabio Bianchi e con loro Stefano Daveti, Rosa Maria Salerno (Rosi), Paolo Navalesi, Tingis. In quegli anni in cui cadeva il muro di Berlino e di fatto finiva la guerra fredda e la divisione del mondo in due blocchi d’influenza politica ed economica, questo gruppetto di giovani spezzini di cui facevo parte cercava avidamente dei sodali che comprendessero e sostenessero la loro pratica artistica: una passione giovanile, un oggetto di studio e in seguito sarebbe diventata per molti la nostra professione.

Stefano era cresciuto, come me, al Favaro, ma presto si era spostato a Sarzana con Rosi. Lo vedevo talvolta alla fermata dell’autobus o in giro o in bici, come suo fratello Renzo, sempre vestito di nero con i riccioli neri raccolti o lasciati cadere sul collo. Mi sembrava una figura irraggiungibile, invece si rivelò molto affabile e gentile quando incominciai a frequentarlo. Era il periodo in cui insieme a Cristiano, Alfio, Tingis, aveva fondato KORF (1), gruppo di ricerca prevalentemente musicale, ma che sperimentava anche nell’installazione e nella videoarte, nel tentativo di interpretare le ultime tendenze artistiche e culturali, i cui echi arrivavano anche nella nostra città

Affamati di vedere, una delle mete cui potevamo rivolgerci era il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci a Prato, che aveva inaugurato nel 1988, con il progetto architettonico di Italo Gamberini. Il Centro Pecci, come più comunemente viene chiamato oggi, era la prima istituzione in Italia progettata e costruita da zero con l’obiettivo di presentare, collezionare, documentare e supportare le ricerche artistiche di arti visive e performative, cinema, musica, architettura design, moda e letteratura ed essendo relativamente vicino alla Spezia, era facilmente raggiungibile. Così, un giorno siamo partiti in macchina, probabilmente la Renault 4 di Cristiano, alla volta di Prato per la prima grande personale di Julian Schnabel (New York, 1951) in Italia. La mostra, curata da Amnon Barzel, presentava una ventina di grandi lavori del pittore americano, dipinti su teloni, materiale che l’esercito usava per coprire le cose, di circa 5 x 5 m ciascuno.  La monumentalità delle opere e la sicurezza del gesto di Schnabel, che in quegli anni era una figura centrale della Nuova Pittura internazionale, impressionarono tutti noi. Fu per noi un momento di condivisione, qualcosa di importante che rimase dentro ciascuno come una guida e quando l’esperienza si trasforma in ricordo, le persone con cui l’abbiamo condivisa rimangono con noi per sempre, diventano dei complici e sappiamo di appartenere ad un gruppo di simili. Per alcuni anni abbiamo continuato a vederci assiduamente insieme anche ad Alfio e Cristiano, Davide e Tingis, mescolando, nel tempo, altre amicizie, conoscenze e gruppi, che sono stati altrettanto fondamentali nel tempo per la mia/nostra formazione e per la vitalità della cultura artistica spezzina, come per esempio, Mario Commone, Lorenzo D’Anteo, Jacopo Benassi, Lara Conte.

Di Stefano e del suo lavoro, perché già a fine anni Ottanta/ primi anni Novanta del XX secolo partecipava con le sue opere a mostre cittadine ed era apprezzato e riconosciuto come un talentuoso artista, ho un altro ricordo indelebile.

In occasione della sua partecipazione alla mostra “Fall Out 7 segni in caduta libera sulla città” presso il Centro Allende della Spezia nel 1991, egli presentò una grande installazione, che realizzò dapprima nel fienile della casa in cui abitava a Sarzana. Avvicinandosi la data della mostra, forse sentì l’esigenza di testare quanto realizzato, e Cristiano ed io, forse accompagnati da qualcun altro, andammo a trovarlo. Ci siamo arrivati di sera e Stefano e Rosi ci hanno accompagnato nel fienile: illuminata dalla luce di qualche faretto o lampada, ci apparve un cumulo di terra enorme alto una sessantina di centimetri e di forma rettangolare su cui erano infilzate, in modo abbastanza regolare, delle croci a più braccia ottenute con rami di legno recuperati, mentre sul cumulo di terra si scorgevano ossa di piccoli animali e altri oggetti trovati nei boschi o in città. L’emozione fu tanta, torna ancora adesso che ne scrivo, e la certezza di essere davanti ad una sorta di capolavoro mi colpì in modo diretto e feroce. Forse non dissi niente, forse solo poche parole di apprezzamento per il lavoro di Stefano, forse non ho mai smesso di pensarci, e poche settimane dopo quest’opera venne riallestita nella sala principale del Centro Allende con intorno i lavori degli atri amici artisti. Senz’altro quella forte emozione rimase per me come un metro di paragone per affrontare quella che poi, dopo gli studi, divenne la mia attività professionale nell’arte contemporanea.

Negli ultimi mesi, Stefano è stato descritto con toni denigrativi sulle testate dei giornali locali che hanno dato notizia della sua violenta fine e non ci sono state tante occasioni di ricordare che dalla fine degli anni Ottanta fino alla seconda metà degli anni Dieci del XXI secolo, Stefano è stato parte attiva della comunità artistica spezzina che ruotava intorno al Centro Allende, al Circolo Culturale Il Gabbiano, al L.A.B. con il Lotto14, spazio espositivo e biblioteca d’arte ideato e gestito a Sarzana con Nicola Lazzoni, alle proposte espositive sul territorio di Enrico Formica, partecipando a “Emergenze 6” nel 2008. L’aspetto installativo e performativo della sua arte andò ad accentuarsi e così anche l’apprezzamento della sua opera, anche grazie a mostre fuori città e all’estero. Lo scambio con lui di idee, la condivisione di esperienze, pur se in modo più saltuario, rimasero salde e si rinnovarono con ognuno di noi ad ogni nuovo incontro, includendo anche la collaborazione con generazioni nuove di artisti locali cui lo legava un intento sociale e attivista comune.

A Morsiano (RE) a giugno 2024, tutto questo è stato brutalmente interrotto. Nessuno che abbia frequentato Stefano avrebbe mai previsto un finale così assurdo per lui. I ricordi non ci sono stati strappati, anche perché sono diventati parte integrante della vita e professione di molti di noi, che, come Stefano, non abbiamo smesso di credere nella possibilità offerta dall’arte e dalla cultura di affrontare il mondo e la vita in modo consapevole e personale, lontano dai richiami delle posizioni ufficiali. Ripercorrere in questi giorni il percorso artistico di Stefano Daveti alla Spezia, la nostra città di nascita, mi ha ricordato come, sebbene si viva lontani da qui, i legami costruiti proprio negli anni giovanili hanno continuato a tenerci vicini e partecipi. Lo strappo che Stefano ha dato trasferendosi nell’appenino tosco emiliano, non ci ha fatto capire la lontananza spirituale che si era creata e non ci ha fatto prevedere il senso di mancanza che ora proviamo.

 

1. Mara Borzone (a cura di), Arte avanzata, CAMeC Centro arte moderna e contemporanea, La Spezia, Istituzione per i Servizi culturali, 2010

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