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La band ha fatto tappa al festival di fosdinovo con l'iconica "il partigiano john"

Reggae e resistenza: quarant’anni di storia degli Africa Unite sul palco di “Fino al cuore della rivolta”

Un concerto atteso da tempo al Museo della Resistenza e ripagato da un'esibizione che ha ripercorso tutta la carriera della band guidata da Bunna e Madaski: "Continuate a supportare questo luogo e la sua attitudine perché ce n'è sempre bisogno".

Africa Unite a Fino al cuore della rivolta

Come per i 99 Posse un anno fa, anche per gli Africa Unite ieri sera l’esibizione sul palco del festival della Resistenza “Fino al cuore della rivolta” ha avuto un significato particolare, in una carriera lunga oltre 40 anni celebrata in questo tour estivo. Guidata dai fondatori Bunna e Madaski, la band di Pinerolo partendo dalla provincia torinese con il mito di Bob Marley, fin dai primi anni Ottanta ha infatti contribuito a diffondere in Italia storia e ritmi della Giamaica con le sue innumerevoli sfumature musicali. Passati nel tempo da precursori ad alfieri indiscussi del genere, gli Africa Unite condividono poi, da sempre, con la rassegna di Archivi della Resistenza alle Prade di Fosdinovo – giunta quest’anno alla sua ventesima edizione – anche i valori della Resistenza espressi nel loro brano più famoso “Il partigiano John”. Inserito nella raccolta “Materiale Resistente” pubblicata per i 50 anni della Liberazione, è ispirato nel titolo all’opera di Beppe Fenoglio e nei contenuti alla vicenda di Francesco “Prometeo” Raviolo, nonno di Madaski e partigiano della brigata Pisacane ucciso in un agguato con altri dodici compagni subito dopo la liberazione di Torino.

Africa Unite a Fino al cuore della rivolta

“E’ impossibile non fare questo pezzo qui in questo luogo” ha detto Bunna introducendo il brano piazzato nella parte iniziale di un concerto che ha ripercorso buona parte della loro carriera davanti ad almeno due generazioni di fan e ad un pubblico con tanti genitori che hanno portato i figli ad ascoltare la musica con la quale sono cresciuti. “C’è sempre bisogno di resistere – ha proseguito il cantante i cui dreadlocks con la loro lunghezza raccontano una vita dedicata alla cultura reggae – ed è bello essere qui per respirare quest’attitudine che ormai si trova in pochissimi altri posti in Italia e che ricorda Alta Felicità a Venaus o Festa Rossa a Pisa. Grazie di essere qui a supportare questo luogo perché ce n’è davvero bisogno”. Parole ricambiate con entusiasmo da un pubblico che dopo aver atteso per anni la band sul palco del Museo della Resistenza, l’ha accompagnata con passione in ogni singolo brano di una scaletta che dagli esordi in inglese di “People pie” fino agli episodi più recenti, ha confermato l’ottimo stato di forma del gruppo – che non ha risentito degli inevitabili cambi di formazione di questi anni – e soprattutto il valore di testi (purtroppo) sempre attuali e profondi su temi come guerra, razzismo e disuguaglianze. Impegno e ritmi in levare che dopo aver toccato tutta Italia hanno finalmente abbracciato anche il festival che da tempo è un punto di riferimento estivo per tutto il territorio.

Africa Unite a Fino al cuore della rivolta
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