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Luci della città

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Luglio-agosto 1944. L’uccisione di Facio, il rastrellamento di agosto e la nascita del comando unico

Il monte Malone (2020) (foto Giorgio Pagano)
Il monte Malone (2020) (foto Giorgio Pagano)

La crescita del movimento partigiano nella primavera-estate del 1944 spinse verso due direzioni, tra loro intrecciate: la “politicizzazione”  e la “militarizzazione” delle bande. Fu il CLN Alta Italia a spingere in questa direzione: il comando generale del Corpo Volontari della Libertà si costituì nel giugno 1944. Il comando CVL propose, per la nostra zona, un comando militare che unisse le formazioni da Genova a Modena. Poi, più realisticamente, pensò a un comando che unisse le formazioni delle province di Parma, Apuania (Massa-Carrara) e La Spezia. L’obiettivo era quello di dar vita alla IV Zona, comprendente l’area che sarà poi chiamata “Lunezia”: ma non si concretizzò a causa della controffensiva tedesca contro i partigiani in Appennino e alla sconfitta delle “zone libere” del Ceno e del Taro (ne ho scritto nell’articolo di questa rubrica del 28 luglio 2024). Si può dire che il comando unico spezzino, che nacque alla fine di luglio con il nome di I Divisione Liguria e che assunse in seguito il nome di IV Zona, fu l’erede di questo progetto. Divenne infatti responsabile per le  formazioni partigiane che operavano nella provincia della Spezia ma anche in buona parte di quella di Apuania, con qualche sconfinamento nel Parmense.

Il comando unico spezzino ebbe origine da un compromesso tra i due partiti principali della Resistenza nella  nostra zona – il Partito comunista e il Partito d’Azione – e unì le formazioni garibaldine (comuniste), quelle di Giustizia e Libertà (azioniste), la brigata Centocroci (“mista”, cioè autonoma ma con una forte componente garibaldina) e il Battaglione Internazionale di Gordon Lett. L’accordo prevedeva che il colonnello Mario Fontana – un socialista ma soprattutto un militare – fosse il comandante e Antonio Cabrelli “Salvatore”, comunista, fosse il commissario politico.

L’esordio del nuovo comando non poté essere più infelice: fu contrassegnato dall’assoluta incapacità di prevedere prima e di contrastare poi il rastrellamento del 3-4 agosto, che fu per i partigiani un vero e proprio “disastro”.

Le forze nemiche erano soverchianti: quasi 6 mila uomini avanzarono in modo concentrico verso il monte Gottero e il monte Picchiara. L’azione fu diretta dalla 135° Brigata da Fortezza comandata dal colonnello Almers –  il comando aveva sede a Carozzo, sulle colline spezzine –  aiutata dagli alpini della Monterosa e dai fascisti della X Mas.

Le formazioni comuniste e azioniste furono subito disperse. Solo la banda giellista guidata da Daniele Bucchioni “Dany” a Calice e soprattutto la Centocroci sul monte Scassella, poco più a nord del monte Gottero, si fecero onore resistendo e contrattaccando, e permettendo così ai resti delle altre brigate di ripiegare, anche se con gravi perdite.

L’area rastrellata, in particolare il territorio di Zeri, fu teatro di violenze anche verso la popolazione civile: 19 civili furono uccisi nei paesi o mentre si davano alla fuga. Il rastrellamento fu inesorabile nello Zerasco, soprattutto a Rossano Chiesa, Bosco di Rossano, Valle e Paretola.

Le perdite partigiane furono, come ho accennato, gravi: 50 secondo i partigiani, 630 secondo i tedeschi, che senz’altro esagerarono. Fu una sconfitta pesante, di cui il neonato comando fu corresponsabile. Per chi volesse approfondire, ho affrontato l’argomento qui e qui.

Qui basti dire che Fontana cadde in un tranello ordito dal comandante Carloni della Monterosa, come ammise lo stesso Fontana in una relazione  a ridosso dei fatti:

“Verso la fine del mese di luglio […] si ebbe al Comando la notizia, risultata poi falsa, che circa seimila alpini avrebbero desiderato passare alle Bande dei Patrioti. In attesa del colloquio richiesto dal Comandante di questi e fissato dal sottoscritto a Varese Ligure, si dovettero sospendere le ispezioni delle Brigate, già preventivamente disposte”.

Fontana non sospettava assolutamente nulla e fu informato del rastrellamento alle 6,15 del mattino del 3 agosto.

Le responsabilità del “disastro” furono del comando unico e di tutti i comandi di brigata, a parte quello della Centocroci. La manovra tesa ad addebitare tutte le responsabilità a Primo Battistini “Tullio”, comandante della brigata garibaldina Vanni, destituito dopo il rastrellamento – una vulgata che circolò per tutto il periodo resistenziale e dopo – è priva di ogni fondamento. Anche chi fu critico con lui ma più onestamente, come il partigiano della Vanni Saverio Sampietro “Falchetto”, nega uno degli elementi della vulgata – che “Tullio” quel giorno fosse impegnato in avventure amorose – e ammette che “la presenza di ‘Tullio’ al suo posto di comando non avrebbe potuto certamente far cambiare le sorti ai combattimenti”.

Il piccolo colonnello, ufficiale vecchio stile, fu richiamato un mese dopo, insieme a Cabrelli: alternative non ce n’erano.  Fontana riuscì certamente a realizzare un po’ di coordinamento e di disciplina. Se di “esercito partigiano” si può parlare, l’accento va posto sull’aggettivo: perché le bande, in fondo, ne costituirono ancora l’ossatura. Molto si guadagnò rispetto alla fase precedente, anche se forse qualcosa si perse: dal punto di vista della Resistenza come movimento dal basso, della banda come luogo di vita collettiva e di partecipazione. Si vietò, per esempio, l’accesso delle donne alle formazioni. Forse si poteva operare una sintesi più alta: la politica non è l’arte del comando, ma – appunto – della sintesi.

La riflessione è doverosa se si pensa a ciò che precedette quel pur giusto e inevitabile processo unitario di “militarizzazione” e “politicizzazione”: l’uccisione da parte di Cabrelli e degli altri dirigenti comunisti ai monti del partigiano più eroico e più amato dalle popolazioni, Dante Castellucci “Facio”. Morì, innocente, a 24 anni- Era il 22 luglio 1944. La Federazione comunista fu molto critica, ma qualche giorno dopo Cabrelli fu nominato commissario politico della I Divisione Liguria. Il materiale umano era quello che era. Anche per questo il movimento partigiano divorò alcuni tra i suoi figli migliori.

Su “Facio” ho scritto molto in questi anni. Mi sono battuto per il riconoscimento della verità e ho avuto l’onore di commemorarlo a Zeri il 22 luglio 2024, a ottant’anni dalla morte. Chi vuole conoscere la storia della sua vita può leggere il mio intervento, pubblicato su “Città della Spezia”.

Ottant’anni fa, pochi giorni dopo “Facio”, morì Antoine de Saint-Exupery, il pilota aereo autore de “Il piccolo principe”, la più bella favola indirizzata a tutte le generazioni che verranno: la favola della fraternità e dell’amicizia universali. Era il 31 luglio 1944. I nazisti lo avevano già intercettato. I suoi superiori gli ordinarono il volo finale, verso la Corsica. Questa volta il suo aereo fu abbattuto. Ho sempre pensato che non gli fosse mai piaciuto starsene a terra. Come se il suo ruolo fosse Altrove.

Anche “Facio” non si fermava mai, combatteva per cambiare il mondo: cercava l’Altrove. Il vero documento che manca su “Facio” è una sua fotografia mentre suona il violino o la chitarra alla sera, dopo la cena comunitaria con la banda: la prova che la Resistenza fu soprattutto fraternità e amicizia, ricerca dell’Altrove. In un momento in cui, come scrisse il partigiano Vittorio Foa, tutto pareva possibile. In cui, per adoperare le parole di Luigi Meneghello in “I piccoli maestri”, uno dei romanzi più belli della Resistenza, “si sentiva muoversi la stessa corrente di sentimento collettivo: era l’esperienza di un vero moto popolare, ed era inebriante, si avvertiva la strapotenza delle cose che partono dal basso, le cose spontanee”. I partigiani vicentini di Meneghello cantavano: “la nostra patria è il mondo inter/ la nostra fede è la libertà/solo pensiero/salvar l’umanità”. E’ vero che la Resistenza non avrebbe vinto senza i partiti antifascisti. Ma è vero anche che non avrebbe vinto senza i partigiani come “Facio”, come i ragazzi vicentini che combatterono nell’altopiano di Asiago. La consapevolezza “delle contraddizioni e delle lacerazioni vissute dai ‘resistenti’ – ha scritto lo storico Santo Peli – serve per apprezzarne fino in fondo l’epicità”. L’antifascismo deve avere memoria del proprio passato – di tutto il suo passato, senza rimuoverne le parti più sgradevoli – proprio per avere più forza contro il fascismo che rialza la testa.

 

Post scriptum

La fotografia in alto ritrae il monte Malone, vicino al monte Gottero: Facio fu ucciso anche per l’accusa di essersi appropriato di un lancio alleato paracadutato esattamente in quella radura.

Le altre due fotografie ritraggono il cippo alle vittime civili del rastrellamento del 3-4 agosto 1944, a Ca’ Menage, salendo verso la vetta del Gottero, e il monumento a “Facio” nel luogo della morte, ad Adelano di Zeri.

Quest’anno, a causa della peste suina, non abbiamo potuto commemorare il rastrellamento d’agosto a Ca’ Menage. Sarebbe stata la prima commemorazione – ormai da anni una bellissima giornata di festa conviviale e di riflessione – senza Giovanni Tognarelli, di Castoglio di Zeri, scomparso pochi giorni prima. Giovanni era il figlio di Luigi, il mugnaio partigiano di Castoglio, che per primo ospitò Gordon Lett. Gioviale, generoso, ospitale, Giovanni era il simbolo del popolo zerasco. L’ho ricordato a Zeri il giorno del funerale, citando un brano di “Rossano” di Lett:

“Ero meravigliato della cordialità di quella gente e della povertà in cui viveva. Della guerra in atto parlavano poco e parevano considerarla un altro male inevitabile della grama vita che conducevano. Molti avevano figli caduti o prigionieri. Essi sapevano che un giorno la guerra sarebbe finita e non permettevano che dominasse la loro vita, pienamente assorbiti dallo sforzo per spremere dal suolo i mezzi per tirare avanti”.

Non farsi dominare la vita dalla guerra: anche questa fu ricerca dell’Altrove.

 

lucidellacitta2011@gmail.com

 

Ca' Menage, il cippo ai caduti civili del rastrellamento del 3-4 agosto 1944 (2014) (foto Giorgio Pagano)

 

Ca’ Menage, il cippo ai caduti civili del rastrellamento del 3-4 agosto 1944 (2014) (foto Giorgio Pagano)

 

Adelano di Zeri, il monumento a

 

Adelano di Zeri, il monumento a “Facio” (2021) (foto Giorgio Pagano)

 

 

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