Sono già passati ottant’anni dal 1944 e il numero dei testimoni di allora ancora viventi si è molto ridotto. Ma non viene meno, in diocesi e in provincia, il ricordo affettuoso dei tanti preti che, in quell’anno terribile, furono oggetto di persecuzioni, di torture, di deportazioni per la sola colpa di essere rimasti con coraggio dalla parte della loro gente e di non aver ceduto ai ricatti.
L’episodio più grave fu il “martirio eroico” (così lo definì il vescovo di allora Giuseppe Stella nelle sue memorie) di don Emanuele Toso, il parroco di Lavaggiorosso fucilato davanti alla sua chiesa dai militari della repubblica fascista. Il 12 agosto ricorrono gli ottant’anni di quel tragico evento, e alle 10, a Lavaggiorosso – ideale “luogo della memoria” – salirà il vescovo Luigi Ernesto Palletti per celebrare la Messa. Seguiranno, nel piazzale della chiesa, il ricordo di quel tragico evento e, infine, la visita alla tomba, nel piccolo cimitero che sovrasta la frazione montana del comune di Levanto.
Don Toso venne fucilato, senza alcuna prova né processo degno di questo nome, dai “repubblichini” della Monterosa, appena dislocati in Liguria dopo un periodo di addestramento in Germania. Lo avevano considerato una spia degli alleati, che secondo i timori di Hitler progettavano uno sbarco in Liguria, sbarco che invece non avvenne mai. Il vescovo Stella lo ricorda, nelle memorie, come un sacerdote “mite, incapace di fare alcun male, ingenuo”, ma tutto questo non riuscì a salvarlo dalla furia omicida di quei soldati.
L’intero 1944 fu un anno di oltraggi e persecuzioni nei confronti della chiesa locale e dei sacerdoti, molti dei quali arrestati: sette in un solo giorno, il 21 novembre, poi trasferiti a Genova e torturati prima di essere rimessi in libertà poco prima della Liberazione grazie al deciso intervento dell’arcivescovo Boetto. Il sacrificio di don Toso è il simbolo ideale di tutto questo.