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La comunità portuale in commissione consiliare

“Corso di laurea su porto e logistica necessario per mantenere il ruolo dello scalo spezzino”

Porto della Spezia

La comunità portuale spezzina vede nell’ipotesi di lanciare un corso di laurea su portualità e logistica non solo interessanti margini di sviluppo formativo e occupazionale, ma anche una vera e propria necessità per consolidare il ruolo dello scalo spezzino a livello nazionale e internazionale.
E’ quanto emerso ieri nel corso della commissione consiliare che ha affrontato la prima delle audizioni scaturite dalla mozione presentata dal Partito democratico e dall’ordine del giorno della maggioranza. Al tavolo, insieme al presidente Oscar Teja, erano seduti Salvatore Avena, segretario generale delle Associazioni del porto e rappresentante della sezione Logistica di Confindustria, e Andrea Fontana, presidente degli Agenti marittimi spezzini.
“Il tema del potenziamento dei corsi del Polo Marconi era già stato proposto dal Pd nel 2021 – ha ricordato Marco Raffaelli introducendo l’argomento -. Il presidente di Promostudi Ugo Salerno accolse con interesse la proposta. Ora vorremmo capire quanto il sistema sia pronto e quale necessità di laureati in tematiche specifiche ci sia nel tessuto economico spezzino”.

Avena, ricordati i cambiamenti che hanno sconvolto il mondo della portualità a livello mondiale, con l’aumento dei costi post Covid, lo strapotere delle compagnie di navigazione e la crisi di Suez che rischia di rivoluzionare ulteriormente il quadro, ha spiegato che anche il ruolo di secondo porto del Paese che riveste lo scalo spezzino è messo in discussione.
“Oggi abbiamo la necessità di creare condizioni economiche, formative e professionali per non disperdere il centro direzionale, dopo che questo è avvenuto per Leonardo, per l’arsenale e in parte per la nautica. Corriamo rischio di diventare un porto telepass – ha messo in guardia Avena – per il quale sarebbero sufficienti autisti e gruisti. Noi non vogliamo questa visione di porto, dopo che per farlo sviluppare abbiamo sacrificato un quartiere della città. Per farlo serve alta formazione. Lavoriamo gomito a gomito e con grande soddisfazione con Scuola nazionale trasporti e logistica, Cisita e Its e il 90 per cento delle assunzioni vengono da lì perché coniugando le esigenze delle aziende e la formazione si raggiungono gli obiettivi. E questo modello si può ampliare a Polo universitario. Confindustria si è mossa. Ma la risposta è stata solo di un master di primo livello: ma noi riteniamo serva almeno un corso di laurea triennale che dia una formazione più varia. Anche perché ci sono forti trasformazioni digitali in corso nel nostro settore, ma alla Spezia c’è una carenza estrema di figure informatiche. Per questo è nata l’idea di fare qualcosa come è stato fatto in passato per la nautica. Genova e Livorno hanno i loro corsi specialistici, ma non riusciamo a catturare laureati provenienti da queste due realtà. E’ necessario formarli qua. Altrimenti corriamo il rischio di essere sempre secondi rispetto ad altri”.

Fontana, proveniente da una famiglia che ha iniziato a operare in porto oltre quarant’anni fa, ha fatto un salto indietro nel tempo.
“Quello spezzino è stato il primo porto ad applicare la legge 84/94, magari anche con poca consapevolezza. Ma in quel periodo era l’unico che lavorava, mentre altrove si assisteva a scioperi e astensioni. Poi il porto è cresciuto in produttività ma non ha sviluppato una cultura, come è invece avvenuto altrove. Basti pensare che nel 1979, quando iniziai a portare alla Spezia le navi passeggeri, l’allora sindaco si disse totalmente contrario. C’è stata sempre una mentalità chiusa rispetto al porto, perché si viveva bene anche senza. Ma oggi la situazione è ben diversa. E’ necessario promuovere questi aspetti per diffondere una cultura che va al di là della movimentazione dei container e che riguarda rapporti giuridici, economici e amministrativi. Nella portualità serve capacità di risolvere questioni complesse, da quelle normative a quelle documentali. Alla Spezia, per esempio, non abbiamo nemmeno un avvocato marittimista o specializzato in diritto doganale. E allo stesso modo ci mancano esperti sotto il profilo ingegneristico e informatico, in un periodo storico in cui la cyber security è a dir poco fondamentale”.

La consistenza del comparto è rappresentata nei numeri: tra spedizionieri, agenti e doganalisti si contano 30 aziende, in alcuni casi succursali di imprese genovesi o livornesi, che impiegano 520 dipendenti diretti ai quali si aggiunge l’indotto dei terminal e dei magazzini. All’interno del perimetro portuale operano 700 lavoratori diretti nei due terminal, oltre ad altrettanti indiretti da articolo 16. Magazzini.
“Lsct – ha aggiunto Avena – ha cambiato tutte le figure apicali e sono tutte persone che vengono da fuori, dall’amministratore delegato in giù, tranne il direttore operativo che deve conoscere il terminal come le sue tasche. Per mantenere il porto vivo e con un alto valore occupazionale non dobbiamo perdere questo momento, c’è bisogno di accompagnare il processo, anche in vista dei futuro processi di automazione”.

I due esponenti della comunità portuale hanno ricordato che alla Spezia la logistica ha sempre trovato terreno fertile per varare progetti pilota, sino al brevetto sul processo di controllo delle merci ottenuto da parte del ministero del Mare.
“Per questo serve un passo in avanti. La Spezia recepisce le novità in maniera più efficace dei porti storici”, hanno spiegato.
Nel corso del dibattito con i consiglieri di maggioranza e opposizione è più volte stato manifestato l’ottimismo nei confronti dell’appeal che un corso su portualità e logistica potrebbe avere ed è stata sottolineata la necessità di dare al porto una governance che sappia accompagnare le modificazioni continue imposte dalla crisi della globalizzazione.

Il dibattito, che da mesi aleggia tra Viale San Bartolomeo e Piazza Europa, sta ora entrando nel vivo e presto registrerà anche le voci degli altri protagonisti della vicenda: tra questi non potranno mancare l’Università di Genova e il vero convitato di pietra della questione, ovvero le risorse per sostenere almeno in parte un nuovo corso la cui utilità è già ben chiara a molti.

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