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Luci della città

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Giugno-luglio 1944. I partigiani spezzini e le libere Repubbliche del Ceno e del Taro

Bardi, il castello (2020) (foto Giorgio Pagano)
Bardi, il castello (2020) (foto Giorgio Pagano)

Nel giugno 1944 l’insurrezione generale sembrava vicina. Era un’illusione, provocata dalla liberazione di Roma e dallo sbarco in Normandia. Così descrisse quei momenti il partigiano azionista piemontese Dante Livio Bianco: “Un soffio di entusiasmo e di speranza percorse le città e le campagne e sospinse in montagna una quantità di persone che, per una ragione o per l’altra, non avevan ancora creduto giunto il momento d’agire, o non avevan potuto muoversi”.

La lotta si sviluppò intensa non solo in Lunigiana – ne ho scritto negli articoli di questa rubrica del 7 e 14 luglio – ma anche nel Parmense. In entrambe le zone i partigiani spezzini operarono fin dall’inizio: la prima azione di grande rilievo in Appennino fu non a caso quella dell’assalto al treno alla stazione di Valmozzola il 12 marzo 1944, compiuta dal gruppo Betti, formato da partigiani locali e spezzini (ne ho scritto su “Patria Indipendente” il 14 marzo 2024: L’assalto al treno in Valmozzola, pietra miliare della Resistenza).

Dal gruppo di Valmozzola nacque il distaccamento Muccini del Battaglione Ralli – comandante il sarzanese Flavio Bertone “Walter”, commissario politico Paolino Ranieri “Andrea”, egli pure sarzanese – che fu tra i protagonisti della costituzione della libera Repubblica del Ceno. Tra le prime bande in Val di Vara e Val di Taro c’erano i gruppi dei fratelli “Beretta”, Gino e Guglielmo Cacchioli, e di Federico Salvestri “Richetto” , che si fusero nella Centocroci nel marzo: la banda fu protagonista della costituzione della libera Repubblica del Taro.

I due “Territori liberi” furono l’esito, nel Parmense, di quel”soffio di entusiasmo e di speranza” ricordato da Bianco.

Le fila dei partigiani si erano ingrossate, soprattutto per l’afflusso di giovani renitenti alla leva: a fine giugno erano 500 in Val Ceno e 480 in Val Taro. In Val Ceno prevalevano i garibaldini, giovani comunisti inviati da Parma e da altre zone, tra cui Sarzana, Arcola, La Spezia: una presenza “esterna” che in alcuni settori della popolazione fu vissuta come una sorta di occupazione. In Val Taro le bande avevano invece un orientamento autonomo e moderato, ed era più forte la presenza di partigiani nativi della valle. La Centocroci – comandata prima da  Gino Cacchioli “Beretta”, poi da Federico Salvestri “Richetto”, carabiniere badogliano di Caranza di Varese Ligure – era tuttavia composta anche da giovani comunisti spezzini, e il PCI espresse sempre il commissario politico, prima Aldo Costi “lo Zio”, poi Terzo Ballani “Benedetto”.

I garibaldini occuparono Bardi il 10 giugno 1944. Gli autonomi della Val Taro, inizialmente non convinti, passarono anch’essi all’attacco. Il 15 giugno la Centocroci occupò Bedonia, le altre bande Borgotaro il 26 giugno, dopo un primo tentativo il 15. La zona libera comprendeva anche territori liguri: San Pietro Vara, Varese Ligure, Borzonasca, Rezoaglio e Santo Stefano d’Aveto. In Val Taro arrivò il colonnello Pietro Laviani “Lucidi”, inviato dal comando militare di Milano, che poi lo criticò per essere andato al di là dei suoi compiti militari cercando di unire le formazioni valtaresi nella Divisione Nuova Italia, di orientamento politico moderato. “Lucidi” insediò il comando a Compiano.

In entrambe le zone libere gestire l’amministrazione civile non fu semplice. Fu comunque un primo tentativo di democrazia dal basso dopo vent’anni di dittatura: i sindaci sostituirono i podestà, l’ordine veniva garantito dalla polizia patriottica invece che dalla polizia fascista, si organizzò la distribuzione dei viveri cercando di pagare il giusto prezzo ai contadini…

Agli spezzini fu affidata l’esecuzione di una parte importante del piano di occupazione di Bardi. Alloggiarono in parte nelle scuole, in parte nel castello. Furono accolti con favore dai bardigiani, molti dei quali erano emigrati in Gran Bretagna e ne avevano assimilato i costumi. I partigiani, invitati nelle case, si aspettavano un buon bicchiere di vino, ma con disappunto si videro offrire una tazzina di  tè.

Non tutti i partigiani che liberarono la Val Ceno si comportarono onestamente: alcuni appartenenti a bande piacentine si resero colpevoli di rapine e violenze. “Walter” e “Paolino” furono tra coloro che non esitarono ad esigere gravi punizioni, compresa la condanna a morte, per i responsabili.

Il ruolo principale dei partigiani fu sempre quello militare, di difesa dei territori liberi dagli attacchi nemici. I tedeschi non potevano tollerare la perdita del controllo di infrastrutture viarie e ferroviarie strategiche in Val Taro, e si impegnarono con accanimento per la loro riconquista. La valle fu eroicamente difesa per tutta  la prima quindicina di luglio: memorabili le battaglie della Manubiola (30 giugno), di Grifola (8 luglio) e di Pelosa di Varese Ligure (11 luglio). A Pelosa i tedeschi, colpiti dai partigiani appostati sulle pendici del monte Ventarola, ebbero molti caduti e prigionieri, e alcuni disertarono. Ma reagirono e, in furiosi corpo a corpo, uccisero alcuni partigiani. Questo il racconto dello studioso Giulio Mongatti:

“Ci si batté a distanza ravvicinata, e con le bombe a mano. In una mischia accanita, il diciassettenne Angiolino Galligani, da Migliarina (La Spezia), fu gravemente ferito. Un suo amico inseparabile, il siciliano Santo Barbagallo, volle soccorrerlo. Colti in pieno da alcune raffiche, vennero arsi vivi – avvinghiati insieme – coi lanciafiamme”.

Secondo alcune testimonianze furono seviziati una volta uccisi. Angiolino e Santo furono sepolti insieme ai Boschetti, da fraterni amici come erano sempre stati. La lapide posta a Pelosa sbaglia i nomi: Calligani anziché Galligani; Sante Bogato anziché Santo Barbagallo; Lino Ghiorzi “Luigi”, non Francesco Ghiorsi, di Tornolo, il terzo caduto. Le rappresaglie furono terribili: una lunga scia di sangue annullò – ma solo temporaneamente – la presenza partigiana in quei luoghi. Il gruppo Muccini rientrò nel sarzanese. La Centocroci di “Richetto”, contraria alla tregua con i tedeschi voluta dalle altre formazioni, per tutto l’autunno 1944 sarà protagonista delle più belle battaglie della Resistenza valtarese. In queste montagne la Resistenza rivelò in modo emblematico tutta la sua complessità, la sua forza e anche le sue contraddizioni.

Pelosa, lapide ai partigiani caduti l'11 luglio 1944 (mostra fotografica di Giorgio Pagano “Arte, storia e natura nelle terre di Varese” – Varese Ligure, Castello dei Fieschi – 27 agosto-11 settembre 2022)

Pelosa, lapide ai partigiani caduti l’11 luglio 1944 (mostra fotografica di Giorgio Pagano “Arte, storia e natura nelle terre di Varese” – Varese Ligure, Castello dei Fieschi – 27 agosto-11 settembre 2022)

 

Post scriptum

L’ottantesimo anniversario della battaglia di Pelosa e della difesa della libera Repubblica del Taro sarà ricordato martedì 30 luglio alle ore 18 a Pelosa: ci sarò, insieme a Mauro Rattone, sindaco di Varese Ligure, don Sandro Lagomarsini, parroco di Scurtabò, Angela Galligani, sorella di Angiolino, ed ai rappresentanti delle associazioni partigiane spezzine e parmensi.

Le fotografie sono del castello di Bardi e della lapide di Pelosa.

Per approfondimenti su persone e vicende citate nell’articolo si può consultare il Dizionario della Resistenza spezzina e lunigianese, su www.associazioneculturalemediterraneo.com

lucidellacitta2011@gmail.com

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