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Sprugoleria

Sprugoleria

Arrivare primi per conquistare l’agognato posto al sole

Il muraglione di Corniglia

Dunque, il viaggio in treno per andare al mare. Non dirò che era un’avventura ma certo era impegnativo. Almeno fino alla terza terra, la terra di mezzo. Anche se non c’erano gli Hobbit, negli anni ottanta Cornigia era la spiaggia più appetita, un tormentone più insistente di Vamos a la playa, un lungo e stretto tratto di litorale su cui il popolo sprugolotto si riversava entusiasta anche se di spiaggia aveva assai poco. Tutti o quasi scendevano lì e il treno si svuotava. Non del tutto, c’era anche chi ambiva la rena di Monterosso, Vernazza non essendo ancora la nicchia dove oggi è folla la massa degli strangers che lì calano e che se devi chiamare l’ambulanza, meglio rivolgersi a un elicottero. Certo, dopo l’ultima terra ogni vagone assomigliava a un deserto.

Dunque, a Corniglia c’era la discesa di massa e poi di corsa verso lo spiaggione precipitandosi per le scale del muraglione di contenimento costruito per proteggere le rotaie dal mare d’inverno che quando batte è furia che lascia ferite. Le vediamo ancora oggi che rimedio per contenere i marosi non è stato trovato. Tante crepe fra i massi d’arenaria squadrati, aperte dal lavorio delle onde in quella corazza che a dispetto dell’apparente possanza stenta a sopportare la sferza dei colpi che le sono inferti contro. Ma allora chi ci pensava? Il pensiero dominante era arrivare primi per conquistare il posto al sole di cui ci si assicurava il possesso non piantando una bandiera come i conquistadores nel nuovo mondo ma stendendo un asciugamano con le frange che la mamma s’era raccomandata che non lo sciupassi.

Uno accanto all’altro, distesi a godersi il sole dimenandosi su quel pezzo di tela per trovare la posizione meno scomoda per sopportare le cuspidi aguzze e taglienti dei sassi che punzecchiavano ogni parte del corpo. Eravamo stati già masochisti nel viaggio, persistevamo nella perversione per colorarci la pelle. Poi, siccome era caliente, l’entrata in acqua, operazione altrettanto disagevole del bagno di sole perché i ciaponi che ti accompagnavano fra le onde, oltre ad essere pur essi acuminati, erano anche scivolosi e ogni cascata era abrasioni e lividi. Eppure, il giorno dopo tornavamo e poi quell’altro e poi quell’altro ancora anche se il viaggio di ritorno era peggiore di quell’ dell’andata perché a complicare le cose c’era la stanchezza e la folla spossata, si sa, è pronta all’incendio. All’andata non ci si incaponiva per il posto a sedere, tanto meno ci si leticava, lasciavamo tutto per il ritorno.

Roba da fatica, eppure, quello era l’andazzo estivo della gente di Sprugolandia che continuava imperterrito fino a quando le campanelle delle scuole, chiamando gli alunni sui banchi, non sanciva la fine dell’estate. Allora in treno ci si sedeva e sulla spiaggia avevi ettari a disposizione ma non c’era più gusto anche se il sole continuava a battere caldo.

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