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Luci della città

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Giugno-luglio 1944.La Spezia bombardata e i lavoratori del Muggiano costretti a servire il Reich

Bombardamento sulla Spezia, National Archives Records and Administration, Maryland, USA.
Bombardamento sulla Spezia, National Archives Records and Administration, Maryland, USA.

Dal giugno-luglio 1944 La Spezia era diventata una città spettrale: da 120 mila abitanti era scesa a 30 mila. Con l’avanzata degli Alleati, tedeschi e fascisti temevano uno sbarco tra Liguria e Toscana, in appoggio alle truppe che stavano salendo l’Italia. I bombardamenti in provincia e in Lunigiana si erano fatti sempre più insistenti, dal maggio e poi per tutta l’estate: su ferrovie, ponti, centri abitati. Aulla fu in parte ridotta in macerie – lo sarà definitivamente a dicembre. Nel maggio La Spezia fu bombardata ancora più pesantemente che nell’aprile 1943: furono distrutti interi isolati, caserme, il Teatro Civico, l’Ospedale. I morti furono “solamente” ottanta perché lo sfollamento spontaneo verso i centri della campagna e della montagna era già in atto dall’anno precedente. Qualcuno in città lavorava ancora, ma alla sera l’esodo era pressoché totale. I lavoratori erano diventati quasi tutti “pendolari”. 30 mila persone era del resto la capienza massima dei rifugi antiaerei spezzini. Erano gallerie sotterranee, affollate di materassi e di mobili, in condizioni igieniche drammatiche. Molti servizi non funzionavano più, le fabbriche erano sempre più inattive. Non solo perché colpite dai bombardamenti, o perché i macchinari erano stati portati dai tedeschi in Germania: lo erano perché molti operai non lavoravano più. Erano gli operai che coltivavano la terra, e che speravano di campare così, senza correre il rischio di essere deportati in Germania come forza lavoro. Il Terzo Reich voleva infatti non solo i nostri impianti ma le nostre braccia, per continuare la produzione bellica.
Dopo l’8 settembre 1943, più di centomila lavoratori italiani vennero spediti in Germania come lavoratori civili coatti. Non furono i soli: il trasferimento era già cominciato dopo l’alleanza tra Italia e Germania siglata nel 1938, e aveva riguardato altri centomila lavoratori. In totale i lavoratori italiani in Germania arrivarono a oltre 200 mila, senza considerare gli internati militari.
Anche la Liguria fu colpita: a Genova è viva la memoria del trasferimento coatto in Germania di circa 1500 lavoratori, avvenuto il 16 giugno 1944. Alla Spezia si è persa la memoria di un fatto analogo, anche se con un numero minore di lavoratori coinvolti, perché dipendenti di una sola fabbrica: il Cantiere Navale Muggiano. Ho potuto riscoprire questa pagina di storia grazie a Dino Grassi, che me l’ha raccontata mentre lavoravamo alla pubblicazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”. Dino – allora non ancora diciottenne – aveva molto vivo il ricordo di quel giorno, dopo il quale non tornò più al Muggiano, dove lavorava. Si licenziò, e andò a fare il contadino fino alla Liberazione, per poi tornare in Cantiere. Ogni anno, per molti anni, i lavoratori del Cantiere hanno commemorato non solo i compagni caduti nei campi di concentramento nazisti deportati dopo lo sciopero del marzo 1944, ma anche i compagni caduti nei campi di lavoro. Il rastrellamento dei lavoratori ci fu pochi giorni dopo quello genovese, il 30 giugno 1944.
L’archivio di Dino è di grande aiuto per la ricostruzione dei fatti, perché conserva alcuni testi di suoi discorsi al Muggiano in occasione del 25 aprile. In tutti questi interventi – risalenti agli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta – non viene mai fatta distinzione tra i caduti rastrellati a marzo e i caduti rastrellati a giugno. Ciò emerge anche dalle memorie di altri lavoratori del Cantiere che ho potuto consultare: quelle di Soresio Montarese e di Bruno Scattina. Dino mi ha parlato anche di un operaio del Muggiano che fu rastrellato il 30 giugno e sopravvisse: Silvio Sassetoli, cattolico di Pitelli, che ha lasciato una testimonianza scritta, conservata all’Istituto Storico della Resistenza.
L’esame combinato dei testi di Dino e di Sassetoli e alcune mie prime ricerche consentono di stabilire che tre furono i caduti certi tra i lavoratori del Muggiano inviati in Germania il 30 giugno: Mario Piras, nato alla Spezia nel 1902, residente a Sarzana, operaio, deceduto per maltrattamenti a Mannheim il 7 marzo 1945; Ulderico Tozzini, nato a San Terenzo nel 1914, congegnatore, deceduto il 25 giugno 1945 all’Ospedale della Spezia, al suo ritorno dai campi; De Michelis, di cui conosciamo solo il cognome. Sassetoli fa inoltre i nomi di Lattici, Orefici e Ricco, deceduti dopo il ritorno dai campi. E’ significativo che i rastrellati per lavoro coatto morirono quasi tutti al loro ritorno in patria. Non erano prigionieri nei campi di concentramento, ma vissero comunque una situazione drammatica, fatta di sfruttamento, di ritmi massacranti, di sporcizia e soprattutto di fame, di sottoalimentazione: per questo il fisico di molti fu minato per sempre.
A Genova i deceduti certi furono 14, su 1500. Il numero dei deceduti spezzini è minore, ma fa pensare a un numero di lavoratori inviati in Germania non certo piccolo. Gli archivi che ho consultato non ci dicono ancora tutta la verità, ma ci aiutano a raggiungerla. Il 20 marzo 1944 il prefetto fascista Franz Turchi scrisse al Ministero dell’Interno e al segretario particolare del Duce: il 16 marzo una commissione germanica era andata al Muggiano e aveva chiesto alla direzione e alla commissione interna di avviare al lavoro in Germania 300 lavoratori. Turchi si lamentò per non essere stato coinvolto. Il 23 marzo il direttore dell’ufficio di collocamento scrisse un promemoria per Turchi: lo informava del fatto che i dirigenti dell’ufficio di arruolamento tedesco, visto che non c’era la disponibilità volontaria dei lavoratori ad andare a lavorare in Germania, chiedevano la precettazione obbligatoria di 300 lavoratori del Muggiano. Secondo il direttore dell’ufficio di collocamento la richiesta era sproporzionata, e andava ridotta. Turchi era preoccupato per il malcontento operaio, ma non sposò questa tesi. Il 30 marzo si limitò a chiedere istruzioni al commissario nazionale del lavoro, il quale gli rispose, il 18 aprile, che aveva interessato della cosa il comandante dell’ufficio tedesco in Italia. Evidentemente i tedeschi decisero di andare avanti. Sappiamo certamente che molti lavoratori del Muggiano furono costretti, il 30 giugno, a salire in treno e ad andare a lavorare in Germania. Sappiamo che qualcuno riuscì a fuggire. Dino Grassi mi ha raccontato di come si salvò Avio Lucetti, che poi fu per molti anni vicesindaco di Lerici: alla stazione di Spezia si nascose dentro l’ampia gonna di una donna. Sappiamo che almeno tre di loro non sopravvissero. La ricerca deve continuare. E’ fondamentale restituire a tutti i lavoratori che da questa vicenda furono coinvolti e spesso travolti una biografia, una storia, un volto.

Gli effetti dei bombardamenti sul porto della Spezia, National Archives Records and Administration, Maryland, USA.
Gli effetti dei bombardamenti sul porto della Spezia, National Archives Records and Administration, Maryland, USA.

 

Post scriptum
Le fotografie di oggi sono tratte dal libro di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”. Sono conservate nei National Archives Records and Administration, Maryland, USA, e sono state riprodotte da Sandro Antonini. La prima ritrae un bombardamento sulla Spezia. La seconda gli effetti dei bombardamenti sul porto della Spezia.
Per approfondimenti su persone e vicende citate nell’articolo si può consultare il Dizionario della Resistenza spezzina e lunigianese, su www.associazioneculturalemediterraneo.com

lucidellacitta2011@gmail.com

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