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Sprugoleria

Sprugoleria

Lo spiaggione di Corniglia e quei treni affollati degli anni ’60

La spiaggia di Corniglia

Troppo datato (maledetta anagrafe) per frequentare oggi gli arenili di Sprugolandia, non posso dire quale sia il lido alla moda anche perché l’offerta oggi s’è diversificata: dalla spiaggia allo scoglio per finire con Ibiza che fa la concorrenza a Venere Azzurra, masso sotto San Pietro e Fegina. Una volta non era così, per abbronzarsi non si superavano i confini della landa e invece di frequentare gli aeroporti si affollavano i treni. Allora, una vita fa, il must estivo era lo spiaggione di Corniglia che, a pensarci ora a quella distesa che dai piedi del borgo s’allunga fino al Palaedo di Manarola, più che un arenile era un acciottolato dalle punte aguzze. Eppure, se non ti affrettavi a stendere l’asciugamano, eri condannato a abbronzarti in piedi.

Del resto, a tale postura eravamo allenati dai viaggi in treno. Fortunatamente il tragitto è breve altrimenti si correva il serio rischio di anchilosarsi perché non solo era impossibile trovare un sedile ma anche i posti in piedi erano esauriti. Il convoglio, infatti, faceva il pieno già alla partenza nell’alta Lunigiana. Così, quando la locomotiva usciva dalla galleria dell’ospedale per entrare in stazione, era da tempo sold out. Ovviamente, nessuno scendeva (figuriamoci, calavano da Puntremol per tuffarsi alle Cinque Terre) ma appena si aprivano le porte, si scatenava l’assalto al treno come quando nei western i pellirosse attaccano la diligenza.

Solo che nel film a un certo punto senti la tromba del 7° Cavalleria che mette in fuga gli indiani. Invece, quando sentivi il fischietto del capostazione che dava il via libera, ci si ritrovava tutti pigiati che il pesce in barile gode di maggior movimento. Infatti, non salivano solo le famiglie di genitori, figli, nonni e a volte anche cani, ma c’erano anche gli strangers che cominciavano a subire il fascino della Riviera. In siffatta mesciüa di idiomi, contatti, manomorte e la continua scoperta della scarsa abitudine al deodorante, il convoglio si muoveva verso le gallerie. Istituzionalmente si fermava ad ogni stazione ma arrestava il cammino anche per i semafori rossi che segnalavano la precedenza dovuta a treni altolocati destinati a collegamenti più impegnativi.

Quei tragitti così difficoltosi erano, però, anche istruttivi. Lì ho scoperto l’etimologia della parola toilette. Un giorno vidi un signore fremere e battere i piedi davanti alla porta di una ritirata, così si chiama in treno il gabinetto, che non si decideva a aprirsi. Poi, finalmente ne esce fuori un tale serio e compassato con un giornale sportivo sotto il braccio. Al che l’altro subito gli fa Tu-ha-let?

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