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Cronaca

La Camera penale risponde ai sindacati di Polizia: “Difendere il diritto e i diritti. Fondamentale la serenità e l’indipendenza del giudizio”

Tribunale della Spezia

“Apprendiamo dalla lettura dei quotidiani locali di un intervento a opera dei sindacati della Polizia di Stato in merito alla decisione assunta dal Tribunale della Spezia all’esito del giudizio di convalida, conseguente all’applicazione della misura precautelare dell’arresto a carico di un ventiseienne, incensurato, per il reato di “resistenza a pubblico ufficiale”. Nel dettaglio, l’articolo di stampa —edito da quotidiani locali, comparso in almeno due occasioni – attiene alla decisione del Tribunale circa la “non convalida” dell’applicazione della misura e la conseguente restituzione degli atti al Pubblico ministero procedente affinché prosegua la fase investigativa nelle forme ordinarie. A fronte di ciò, il dottor Alessandro Cariola, segretario provinciale Sap, secondo il resoconto giornalistico, avrebbe affermato: “Chi difende i difensori? È la stessa domanda che qualsiasi operatore di pubblica sicurezza si pone nel momento in cui la propria azione per cercare di garantire la sicurezza collettiva viene messa in discussione. Purtroppo, siamo nuovamente qui a commentare un fatto frustrante, che delegittima ancora una volta l’operato dei colleghi”. A ciò hanno fatto eco — con dichiarazioni del medesimo tenore – il dottor Fabio Conestà, segretario del Movimento Autonomo di Polizia e il dottor Mauto Marci, segretario Mosap”. La Camera penale della Spezia interviene così nel replicare alle dichiarazioni rese nei giorni scorsi dai sindacati di polizia Sap e Mosap, ai quali ieri si sono aggiunti Siulp e Siap, riguarda alla mancata convalida dell’arresto di un individuo che aveva colpito al volto un agente.

“Definire “frustrante” e “delegittimante” una decisione giudiziale assunta da un Tribunale interpretandola come un attacco diretto, e personale, agli inquirenti appare, oltreché fuorviante, anche un pericoloso tentativo di inquinare la serenità del giudizio. Un malcelato sforzo volto ad attentare alla libertà e all’indipendenza che sorregge e ontologicamente caratterizza il Giudice, sottoposto unicamente alla volontà della legge. Ancora una volta – proseguono gli avvocati – una decisione che contrasta con la primigenia intuizione accusatoria viene contrabbandata come atto eversivo da cui prendere le distanze, additandolo come episodio degno di stigma e quale evidenza di un malfunzionamento del sistema. Ancor più allarmante allorquando, come in questa circostanza, tale manifestazione non derivi dall’opinione pubblica bensì da rappresentati delle forze di polizia che, non foss’altro per le funzioni a loro affidate, dovrebbero possedere una visione, e una conoscenza, privilegiata dei principi che orientano il sistema processuale penale.
Ciò che allarma – oltre alle modalità comunicative affidate agli organi di stampa – è l’assunzione di un giudizio degradante, diretto e personalistico verso una decisione giudiziale che, quasi come fosse una risposta ad un alterco privato e non già garanzia fisiologica del sistema, non viene interpretata come espressione del potere giudiziale – benché sottoposto a rimedi rituali allorquando vengano individuate criticità – bensì come affronto alla funzione stessa delle forze di polizia.
Giova, peraltro, constatare come, nel caso di specie, il redattore del commento non abbia avuto neppure piena contezza del contenuto del provvedimento che, al di là del fatto che sia stato emesso all’esito di un’udienza camerale e quindi sottratto alla disponibilità conoscitiva pubblica, motiva la non convalida dell’arresto non già (non solo, rectius) per la “lievità del fatto” bensì per la non ricorrenza degli elementi tipici del delitto ipotizzato e posto a legittimazione del provvedimento restrittivo. Elementi che, peraltro, sono stati introdotti e apprezzati così come affermati dagli stessi operanti.
La motivazione del Tribunale, ben più complessa e articolata di quanto sbrigativamente diretto all’edicola, appare il frutto di un percorso motivazionale che, oltreché prestare squisito ossequio alle norme, garantisce le funzioni stesse della misura precautelare dell’arresto che non può, per la sua natura, essere la conseguenza inevitabile per ogni fatto criminoso asseritamente caduto nella percezione delle forze di polizia e, tanto meno, deve essere l’anticipazione della reazione contentiva e punitiva affidata allo Stato. Diversamente opinando si svuoterebbe di significato l’istituto ponendolo, peraltro, al di fuori della legalità.
La non convalida dell’arresto – come peraltro accade per la convalida, u.dr. – non si esaurisce in un provvedimento capace di dare risposta circa la ricorrenza della responsabilità penale né, tanto meno, può divenire metro di giudizio dell’attività della polizia giudiziaria che, al contrario, dovrebbe fare tesoro delle decisioni giudiziali – rispettandole anziché attaccandole attraverso estemazioni decisamente opinabili, per modalità e contenuto – al fine di costruire una conoscenza giurisprudenziale che possa essere virtuosamente utile al fine di comprendere le funzioni processuali e le ricorrenze delle circostanze che legittimano, o necessitano, l’applicazione di una misura precautelare.
Peraltro, la recente ingravescente applicazione dell’arresto parrebbe aver offuscato come esso non può che essere il prodotto di valutazioni, spesso non agevoli, e della ricorrenza di circostanze tassative derivanti non solo dalla dettagliata e consapevole conoscenza delle norme sostanziali e processuali ma anche dall’evoluzione della politica criminale.
Ciò che residua è che viene consegnato all’opinione pubblica — già immersa nel delicato cortocircuito del rapporto tra processo penale e media — è l’immagine di organi inquirenti onerati, ultra titulus, da funzioni di difesa collettiva ostacolati da decisioni giudiziali che si pongono come intralcio. Tale idea, consegnata a opera degli articoli giornalistici evocati, deve trovare ferma censura perché pare minare i fondamenti stessi sul quale sono ancorati e sui quali si erige lo stato di diritto: la protezione della serenità e dell’indipendenza del giudizio diviene, su tutti, un bene primario il cui presidio diventa argomento focale e sul quale non possono essere ammessi, o paventati, compromessi”.

 

 

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