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Una storia spezzina

Una storia spezzina

I malanni di Lord Byron e quella nuotata mai fatta entrata nella leggenda

Grotta Byron

Siccome me lo chiedono anche perché ad aprile è ricorso il bicentenario della morte, torno sulla fake di Lord Byron a Portovenere, una fola su cui Ubaldo Mazzini intervenne su prestigiose riviste un paio di volte, nel 1899 e ventitré anni dopo. Nel 1877 per iniziativa del marchese senese Pieri Pecci Ballati Nervi che aveva una villa alla Palmaria, fu apposta una targa all’ingresso della grotta Arpaia per dire che il posto aveva suggerito al poeta l’antro descritto nel poemetto Il Corsaro del 1814 e che la traversata che Byron, ardito nuotatore, compiva per raggiungere Lerici l’anno precedente aveva dato lo spunto per La sposa di Abido, il canto con cui il lord inglese rivisita il mito di Leandro che per andare dalla sua Ero traversava l’Ellesponto, nuotata in cui perì. Mazzini confuta tutto dati alla mano.

Byron viene in Italia per la prima volta nel 1816 fermandosi a Venezia tre anni prima di trasferirsi a Ravenna che lascia nel ’21 per andare a Pisa. Dalla città toscana parte nell’autunno del ’22 per Albaro. Non essendoci fino al ’24 una strada dalla Spezia a Genova, il poeta, traghetta la Magra a Sarzana e arriva a Lerici dove s’imbarca per la Lanterna: questa è la sua prima ed unica volta sul Golfo. Non può, però partire subito. In una lettera inviata all’amico Murray il 9 ottobre scrive di avere passato quattro giorni d’inferno nella peggior camera della peggiore locanda del borgo per forti dolori reumatici e biliosi.

Mazzini conclude che se le date smentiscono la targa, lo stato di salute estremamente cagionevole esclude categoricamente la possibilità che Byron che peraltro amava gettarsi fra le onde, potesse avere raggiunto l’altro capo del Golfo. Lo scritto di Mazzini sortì qualche effetto perché il testo originale fu modificato ma non riuscì a contrastare la leggenda che anzi è viva anche ai giorni nostri anche se negli anni Venti la presunta grotta de The Corsair era stata spostata alla grotta dei colombi. Mi sono sempre chiesto perché avesse voluto quell’epigrafe il marchese Pieri che avrebbe, invece, essere bene informato sulla vicenda dato che la moglie Henriette era la secondogenita dell’Esquire Thomas Medwin che di Byron e Shelley era stato amico fidato e soprattutto accurato biografo.

Se poi ci chiediamo perché la storia abbia attecchito così tanto e resista tuttora, mi viene da ripetere che a questa nostra terra ha sempre fatto difetto una sua propria epica, mancanza di cui si avvertiva la gravità. Così, per costruirsi una mitologia, ci si è aggrappati ad ogni spunto pur infondato: perché una mitologia rafforza il senso d’appartenenza.

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