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Luci della città

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Giugno-luglio 1944. Il prete, lo studente, il medico e il criminale

Licciana Nardi, Apella, l'edificio che fu sede del comando della Brigata Borrini (2015) (foto Giorgio Pagano)
Licciana Nardi, Apella, l'edificio che fu sede del comando della Brigata Borrini (2015) (foto Giorgio Pagano)

GIUGNO-LUGLIO 1944. IL PRETE, LO STUDENTE, IL MEDICO E IL CRIMINALE
Nel corso dell’operazione “Wallenstein I” – il rastrellamento del luglio 1944 in Lunigiana – la popolazione civile delle zone di reale o presunta presenza partigiana fu considerata dai nazifascisti complessivamente responsabile e punibile. I civili uccisi furono una trentina: giovani renitenti alla leva repubblichina, pastori, anziani, bambini, disabili. Anche un prete e un medico. Molte le vittime anche tra i partigiani: tra essi lo studente universitario Adelmo Bottero “Ottaviano”, Medaglia d’argento al Valor Militare.

IL PRETE
Ventidue parroci furono arrestati e deportati in Emilia. Solo gli interventi dei vescovi di Pontremoli e di Parma resero possibile, dopo una quindicina di giorni, la loro liberazione. Don Lino Baldini, giovane parroco di Camporaghena di Comano, non riuscì invece a salvarsi. Fu catturato il 4 luglio, picchiato e fucilato subito dopo. Era stato trovato in possesso di una radio. Insieme a lui furono uccisi altri tre civili, tre giovani di Sassalbo: Battista Bertocchi, Ermenegildo Bertocchi, Ermenegildo Giannarelli. La prima vittima nella zona, nella frazione di Catognano, era stato il giorno prima un bambino di undici anni, Erminio Bertoli. Gli assassini sono rimasti senza nome.

LO STUDENTE
La guerriglia partigiana si era sviluppata anche sulle colline tra Bagnone e Licciana Nardi. Dopo la tragedia del Monte Barca Ernesto Parducci “Giovanni”, con il supporto di Edoardo Bassignani “Ebio”, aveva ricostituito una banda: questa volta non solo di partigiani spezzini ma anche di giovani locali renitenti o disertori dai corpi fascisti. Fu chiamata 37b. “Giovanni”, ferito dai tedeschi il 18 giugno, fu sostituito al comando da Piero Galantini “Federico”, giovane ex ufficiale sarzanese, inviato ai monti dai comunisti ma non ancora comunista. Nella seconda metà di giugno il gruppo fece azioni a Virgoletta e a Bagnone. “Federico” riuscì a fuggire dal rastrellamento di luglio e a raggiungere il Monte Tondo, in Garfagnana. In seguito divenne comandante della Brigata Muccini, operante in Val di Magra. Carlo Bruno Brunelli, autore di “La Resistenza nella vallata bagnonese”, allora bambino, è l’unica persona in vita ad aver incontrato “Federico” quando era ancora nella 37b. Mi ha raccontato che lo vide in località Bigorfa, mentre stava trasportando ”Giovanni”, ferito, in una vicina caverna. Si raccomandò con Brunelli e con chi era con lui di non parlare, fu rassicurato. Un altro gruppo di partigiani della 37b, accerchiato in una capanna, fu invece annientato dai tedeschi. Sette furono uccisi in combattimento: Silvio Olivieri, Nello Olivieri, Giuseppe Torre, Adelmo Olivieri, Angelo Tomellini, Giuseppe De Filippis, Giuseppe Barbieri. L’ottavo, il comandante del distaccamento Adelmo Bottero “Ottaviano”, ferito e catturato, fu torturato, legato alla ringhiera della chiesa del paese di Lusana, fucilato e lasciato esposto per alcuni giorni. La popolazione fu costretta ad assistere al massacro. Bottero, prima di morire, gridò “Viva l’Italia”. Era un geometra di Villafranca Lunigiana, studente di Ingegneria, cattolico. Gli sarà intitolato uno dei distaccamenti della Muccini. Brunelli racconta nel suo libro che i tedeschi condussero sul luogo un altro partigiano – il cui nome, purtroppo, non è mai stato conosciuto – e lo fucilarono vicino al povero Bottero. Anche in questo caso non sappiamo chi furono i responsabili.

Licciana Nardi, Apella, la targa a Giuseppe Giannotti (2015) (foto Giorgio Pagano)

Licciana Nardi, Apella, la targa a Giuseppe Giannotti (2015) (foto Giorgio Pagano)

IL MEDICO
Il medico si chiamava Giuseppe Giannotti. Fu ucciso a Panicale di Licciana Nardi il 4 luglio. Così lo ha ricordato il nipote Giuseppe, ottant’anni dopo, nel luogo della morte:
“Caro Nonno,
ottanta anni fa era una giornata calda, una giornata densa di silenzi irreali. Solo il canto delle cicale e qualche soffio di vento mitigavano le urla e gli ordini delle truppe occupanti.
Era il quarto giorno di rastrellamento.
La vita del paese venne fermata dalla violenza dell’azione nazifascista.
Ruberie, perquisizioni e deportazioni. Gli uomini di Panicale e di tutta la Valle del Taverone erano stati deportati o si erano nascosti in buchi scavati nella terra, le donne erano al servizio della soldataglia, i bambini rimanevano chiusi nelle case.
La paura si attorcigliava ai pensieri di tutti, si aveva coscienza che ogni azione, anche la più banale avrebbe potuto porre termine alla propria vita.
Tu eri a casa, da tre giorni a disposizione delle truppe naziste che non ti avevano deportato perché servivi loro. Sapevano bene della tua perizia nella scienza medica, ne erano stati informati.
Laureato a pieni voti a Pisa, ti eri specializzato prima in malattie polmonari e poi in radiologia diventando una figura di rilievo nazionale nella cura della tubercolosi.
Ti avevano arrestato quando giunsero la prima notte di rastrellamento, gli ideatori dell’operazione Wallenstein I avevano ordinato di isolare i parroci e i medici dei paesi perché sospettati di avere contatti con i partigiani, i ribelli come venivano chiamati a quel tempo. […]
Gli uomini alla porta erano quasi tutti italiani assieme a qualche soldato tedesco: ‘Stiamo cercando il dottor Giuseppe Giannotti’ dissero e poi quando tu comparisti davanti a loro:
‘Dottor Giannotti venga con noi al Santuario, abbiamo dei soldati feriti da curare’.
La bisnonna Teresa, tua madre, ti disse di trovare una scusa, di non andare. Gli aguzzini della X MAS, tutti armati, non avevano i modi di chi chiedeva aiuto.
‘Ma come posso dire di no, mamma’.
Il silenzio irreale del paese venne interrotto, dal trambusto di quei modi, tutte le persone che erano chiuse in casa si affacciarono alle finestre o andarono timorose sull’uscio per assistere impotenti.
Iniziò la tua salita al Calvario. Passasti davanti alla canonica e qui ti vide l’ultima volta Zelmira che notò un giovane soldato tedesco che sussurrava con un sorriso ebete alle donne affacciate alle finestre: ‘Dottore Kaputt’.
Poi ti fecero salire per la strada della Crosa fino alla Madonna. Il rumore delle scarpe chiodate risuonava nell’aria. Le cicale aumentarono il loro canto.
Ti fecero stare per una mezz’ora qui dove siamo ora e dove ti videro l’ultima volta tua madre e tutti gli abitanti del paese , probabilmente quella marmaglia aspettava il tenente Bertozzi già responsabile di molti massacri come l’azione contro i partigiani del Monte Barca e la strage di Forno. Il tenente Bertozzi, braccio destro di Junio Valerio Borghese, era un esponente di spicco della X MAS, responsabile del reparto investigativo, spezzino d’adozione, aguzzino per scelta.
Soggiornò per i quattordici giorni antecedenti al rastrellamento nel castello di Bastia poi venne ospitato dai fascisti di Licciana i giorni del rastrellamento.
Il tenente Bertozzi arrivò con la sentenza di morte: qualcuno, uno, pochi o tanti che siano, provenienti da Licciana o forse dalla Spezia o forse da entrambi gli ambienti gli fecero il tuo nome come collaborazionista.
Quegli ipocriti, quei sepolcri imbiancati, non potevano sopportare la tua bontà, non potevano essere alla tua altezza e ti denunciarono.
Venisti condotto sul crinale qui davanti a noi e qui sottoposto ad un breve quanto violento interrogatorio in cui ti si chiedeva di fare i nomi dei partigiani e i luoghi dei nascondigli. Non rispondesti ad alcuna domanda, e mentre ti interrogavano, ti picchiavano, ti seviziavano e ti torturavano secondo i ben noti metodi del carnefice Bertozzi. Il tenente Umberto Bertozzi a capo degli assassini della X MAS che oggi si cita a sproposito con discorsi e gesti offensivi nei confronti di tutte le vittime, segno del degrado morale di certa politica che agisce solo per raccattare qualche voto sul fondo del barile. E quando si dice: ma parliamo della X MAS prima dell’armistizio, si compie un secondo abominio. Non e’ possibile decontestualizzare l’abilità tecnica di un’azione militare dallo scenario storico. E il contesto era una guerra delle dittature che avevano violato e il cui fine era quello di violare la sovranità territoriale di altri popoli.
Pater ignosce illis.
Nel silenzio di quella mattina si sentirono le tue urla fino al martirio. Le cicale smisero di cantare.
I militi della Decima Ti fucilarono eTti nascosero sotto della terra e del letame.
I tuoi concittadini Ti trovarono irriconoscibile dopo qualche giorno.
Venisti seppellito il 9 luglio.
Moristi da martire caro nonno e questo va scolpito sulla pietra, non va dimenticato.[…]
Caro Nonno,
Se è vero che tutto scorre e che come dice il poeta ‘le generazioni passano come onde di fiume’, è altrettanto vero che tu sei un punto fermo, Tu, uomo di grande Fede, sei una rara incarnazione del messaggio evangelico.
La Tua storia e la Tua memoria sono da conservare e da trasmettere con cura alle generazioni future perché solo nel ricordo di storie come la Tua che l’umanità potrà trarre insegnamento per salvarsi dalle barbarie di oggi e di domani”.
La Brigata Borrini, che sorse dalla 37b, di stanza all’Apella, intitolò a Giuseppe Giannotti un distaccamento.

IL CRIMINALE
Nel primo dopoguerra Umberto Bertozzi venne processato dalla Corte d’assise, sezione speciale di Vicenza, e ritenuto colpevole di oltre cento “omicidi volontari, fra cui il concorso nella strage di Forno di Massa e di numerose sevizie e atrocità particolarmente efferate perpetrate tra il 1944-1945 con episodi di violenza (rastrellamenti, stragi, torture)”. Fu condannato con sentenza del 4 giugno 1947 alla pena di morte con fucilazione alla schiena per collaborazionismo e omicidio volontario continuato aggravato per crudeltà per tutti i capi d’imputazione (11 episodi di omicidio, del quali Forno ne rappresentava uno) oltre a una condanna all’ergastolo assorbita dalla pena capitale.
Nella sentenza si legge:
“Nel marzo 1944 intervenne nello sciopero degli addetti al Cantiere Navale del Muggiano (La Spezia) procedendo all’arresto di impiegati e operai sospetti di adesione al movimento clandestino di resistenza […] In quell’epoca con estremo vigore procedette contro i partigiani che erano stati scoperti in occasione delle investigazioni da lui fatte, dopo la cattura del gruppo di partigiani in Monte Barca, e che poi furono fucilati a Valmozzola. […]
Il Bertozzi procedette a numerosissimi arresti di partigiani e loro fiancheggiatori, al loro interrogatorio con mezzi coercitivi; i mezzi, assai spesso, consistevano in sevizie particolarmente efferate, mentre, nel corso di tali operazioni, venivano operate perquisizioni, sottrazioni di oggetti, indumenti, cibarie, animali domestici, e talvolta le case dei ribelli e dei loro fiancheggiatori venivano date alle fiamme.
Il Bertozzi prese parte attiva e diretta, nella primavera estate 1944, a vari rastrellamenti, fra cui quello in grande stile di Forno di Massa, che è una vera e propria azione di guerra, concertata ed eseguita dal Bertozzi alla testa di non meno di 35 uomini addetti all’ufficio I [Investigativo], oltre parecchi altri della X MAS, in collegamento con le truppe tedesche, la quale portò, dopo uno scontro coi partigiani, all’occupazione del paese, all’arresto in massa della popolazione, alla fucilazione di almeno 61 giovani partigiani e all’uccisione di altri, e alla deportazione di altri in Germania.
In quell’epoca infine risulta che il Bertozzi prese parte ad altri rastrellamenti in Piana di Battolla, Fivizzano, Gragnola, Licciana, ove, sotto il suo comando, e col suo diretto intervento, altri partigiani e patrioti furono uccisi”.
La sentenza descrive poi i crimini successivi compiuti da Bertozzi quando fu trasferito nella X MAS in Piemonte, Veneto e Lombardia.
Il testo si conclude così:
“Ordina che la sentenza sia pubblicata mediante affissione nei comuni di Valmozzola, Piana di Battolla, Gragnola, S. Fior di Sotto, Forno di Massa, Fivizzano [ho raccontato gli eccidi nell’articolo di domenica scorsa] Licciana Nardi e Panicale”.
La condanna verrà poi commutata in ergastolo dalla Corte di Cassazione in data 9 aprile 1948, pena ridotta sempre dalla Cassazione a 30 anni in data 21 luglio 1950 e successivamente a 19 anni, in applicazione di condoni nel frattempo intervenuti. In data 25 gennaio 1952 la Cassazione decise la revisione del processo con rinvio alla Corte d’Assise d’Appello di Venezia e la scarcerazione del condannato in attesa del nuovo processo. Al nuovo processo Bertozzi, presente all’udienza, chiese l’applicazione del beneficio dell’amnistia impropria, che gli fu accordata. Con sentenza del 25 gennaio 1963 la corte di Venezia dichiarò estinti i reati ai sensi dell’amnistia Togliatti e cessata l’esecuzione della sentenza del 1947. Bertozzi morì libero il 18 ottobre 1964, di tumore al cervello.
Ferruccio Buonaprole, un ex ufficiale del battaglione “Freccia” della X MAS, dichiarò nel processo di Vicenza di non aver mai capito il perché i partigiani che lo prelevarono dal carcere a Liberazione avvenuta non lo avessero fucilato nei giorni della “resa dei conti”.
Post scriptum:
La fotografia in alto ritrae l’edificio sede del comando della Brigata Borrini ad Apella.
Quella in basso la targa a Giuseppe Giannotti, collocata nella facciata dell’edificio.
Ho scattato le due fotografie nel 2015.

Per approfondimenti su persone e vicende citate nell’articolo si può
consultare il Dizionario della Resistenza spezzina e lunigianese, su
www.associazioneculturalemediterraneo.com

lucidellacitta2011@gmail.com

Più informazioni
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