La Rete spezzina Pace e Disarmo invita tutta la cittadinanza al 107esimo presidio “Se vogliamo la Pace prepariamo la Pace” lunedì 15 luglio alle 18 in Piazza Mentana. “Tra il 9 e l’11 luglio si è tenuto a Washington il 75° vertice Nato – spiegano gli attivisti -. I membri dell’Alleanza Atlantica hanno ribadito il loro sostegno all’Ucraina promettendo l’invio di nuovi aiuti e sistemi d’arma, e il presidente USA ha sottolineato che in questo momento l’Alleanza richiede la forza di tutti. A margine del vertice, Giorgia Meloni ha ribadito che l’Italia terrà fede ai suoi impegni, arrivando a spendere il 2% del Pil per la difesa “con i tempi e le possibilità che abbiamo”.
D’altro canto, Francesco Vignarca, di Rete italiana Pace e Disarmo, intervistato su questo argomento dal quotidiano Fanpage, è molto chiaro: “Il nostro governo ha a disposizione risorse limitate (…) Se vogliono aumentare le spese militari, devono dirci che cosa vogliono tagliare: la sanità? Le pensioni? La scuola? Il lavoro? Noi da anni sottolineiamo che se si vuole arrivare al 2% del Pil bisogna spendere circa 38 miliardi di euro all’anno. Oggi ne spendiamo tra i 28 e i 29, ne mancherebbero una decina. Da dove si vanno a prendere questi soldi?”. Continua dicendo che chi chiede di aumentare la spesa militare italiana la definisce insufficiente, senza spiegare però rispetto a cosa “Vogliamo avere più militari? Più armi? E per cosa servono? Per difenderci da quali minacce? (…) L’Italia non ha una strategia di sicurezza nazionale: finché non si definiscono queste cose, come si determina di cosa ho bisogno e quanto devo spendere?”.
E conclude “Se bisogna aumentare le spese militari per migliorare la nostra difesa le armi dovrebbero servire a noi; invece si aprono sempre nuovi mercati e a Paesi che con le loro politiche alimentano guerre e aumentano il senso di
insicurezza generale. Inoltre l’aumento della spesa militare non genera ricchezza – i ricavi dell’industria militare italiana rappresentano solo lo 0,5% del Pil – né crea posti di lavoro – nonostante in Italia dal 2013 al 2022 ci sia stata una crescita del 132% delle spese di investimento per armamenti, il numero degli occupati diretti nell’industria bellica è rimasto costante intorno ai 30mila addetti, pari allo 0,8% dell’occupazione nell’industria manifatturiera (Più armi più lavoro una falsa tesi, supplemento al n.6 di IRIAD Review. Studi sulla pace e sui conflitti). Ne vale la pena?”