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"rischio emulazione? vero problema è che nessuno tira fuori i ragazzi da certi quartieri"

Teatro, “Mare fuori” e realtà, il Festival della Mente affronta il tema delle carceri: “Cultura arma più potente per il reinserimento di un detenuto”

Se n'è parlato nella ventesima edizione con il direttore del carcere minorile di Nisida, gli sceneggiatori della fortunata fiction e l'attore e regista spezzino Enrico Casale. Farina: "Perdiamo questi ragazzi nella fase da 0 a 6 anni, vivono in contesti particolari e crescono senza stimoli. Preferiscono l'isolamento a un'ora e mezzo di attività scolastica".

Marianna Aprile, Cristiana Farina, Maurizio Careddu, Gianluca Guida, Enrico Casale

Il teatro che entra in carcere con il progetto nazionale “Per Aspera Ad Astra” e le vicende dei detenuti che escono dalle mura di un luogo di pena diventando fiction con il successo di “Mare fuori”. Su questa doppia chiave di lettura la ventesima edizione del Festival della Mente di Sarzana ha affrontato il complesso tema delle carceri in Italia nell’incontro condotto dalla giornalista Marianna Aprile, che ha riunito l’esperienza del direttore dell’istituto minorile di Nisida Gianluca Guida, gli sceneggiatori della fortunata serie Rai Maurizio Careddu e Cristiana Farina, e l’attore e regista spezzino Enrico Casale. Punti di vista differenti accomunati però dall’intento di voler di avvicinare i carcerati ad arte e cultura per costruire percorsi riabilitativi fondamentali anche in un contesto minorile come quello della struttura entrata di recente nella cultura giovanile proprio grazie a “Mare fuori” e alle teorie sull’identità dell’artista partenopeo Liberato.
“La meraviglia in carcere non esiste – ha detto Casale rifacendosi al filo conduttore del Festival – ce la devi portare grazie alle maschere teatrali per trasformare per qualche ora quei luoghi fisici e mentali in un teatro. Gli attori detenuti non devono raccontare se stessi ma altre storie e il nostro compito è quello di far crear loro “buchi nella realtà”. Il teatro rigenera – ha aggiunto – perché prevede incontro, scambio e vicinanza e all’interno di un istituto è l’arma più potente per il reinserimento di un detenuto. Lavorando nel carcere della Spezia con alcuni studenti del territorio, ci siamo accorti dell’importanza del portare dentro altre persone. Sarebbe bello se il carcere potesse diventare un “quartiere della città” e un luogo di cultura”.
Bisogni che per Guida – a Nisida da 27 anni e oggi direttore anche del Centro Europeo di studi sulla devianza e sulla criminalità minorile – partono da molto lontano: “Questi ragazzi ce li siamo persi nella fase da 0 a 6 anni, vivono in contesti particolari e crescono senza stimoli, arrivano da noi che sono analfabeti e preferiscono l’isolamento a un’ora e mezzo di attività scolastica. Dobbiamo riflettere sul meccanismo dell’affiliazione e dell’appartenenza che li porta a compiere certi gesti perché l’identità criminale si forma su “valori solidi” in contesti famigliari frantumati. Per essere attrattivi noi dobbiamo lavorare molto sulla rivalutazione dell’educazione della nuova società”. Quindi sul successo della fiction che ha acceso i riflettori sulla struttura dell’isola: “Difendo la sua grandissima forza comunicativa di verità – ha sottolineato Guida – non ha l’ambizione di raccontare il carcere e gliene sono grato. Apprezzo molto il tema della qualità delle relazioni per ragazzi che escono invece da legami tossici che la società spesso non vuole guardare. Dobbiamo capire da dove nasce il processo deviante. Ci sono almeno tre realtà nel modo i raccontare il carcere: una vicenda processuale complessa; la verità giornalistica che vuole tranquillizzarci dividendo buoni e cattivi, e infine la verità che stigmatizza chi entra in carcere rispetto a chi sta fuori. Noi affrontiamo una verità molto più fluida e ambigua che contiene corresponsabilità e cose che non sono andate bene, situazioni in cui c’è un po’ di bene e un po’ di male; dobbiamo superare i pregiudizi rispetto al raccontarsi”.

Marianna Aprile, Cristiana Farina, Maurizio Careddu, Gianluca Guida, Enrico Casale

“Per noi Mare Fuori è un mondo di sensazioni incredibili – ha affermato invece Careddu – abbiamo fatto un lavoro di grande documentazione anche grazie al direttore e abbiamo parlato con molte associazioni che si occupano di reinserimento per affrontare un problema con tantissime sfaccettature. Di recente una ragazzo mi ha fatto notare giustamente: “qui seguo corsi di teatro, studio e imparo a fare il pizzaiolo, ma perché queste cose non me le avete fatte fare fuori?”. Ci accusano di essere buonisti ma anche questo è un tema molto grande”.
“Noi incontriamo ragazzi che nell’immaginario esterno terrorizzano ma che sono piccoli – è intervenuta Farina – ho la convinzione che sia ancora possibile recuperarli a quell’età e i fallimenti non mi hanno minimamente depotenziato. Tanti fatti di cronaca sono frutto di rapporti tossici e l’unico modo per uscire da queste relazioni è vedere qualcosa e meravigliarsi, le chiacchiere non servono. Siamo partiti dal presupposto di raccontare valori di hinterland di cui non si può capire molto se non si vivono, di periferie in cui manca lo Stato”.
E il rischio emulazione sollevato di recente dal presidente della Campania De Luca dopo i tremendi fatti di cronaca? Per Guida “Una polemica sterile. Non c’è il rischio emulativo ma quello del riconoscimento, non è un bene ma è una realtà che non si può negare. Per loro Mare fuori è troppo edulcorata mentre si ritrovano di più nella serie di Gomorra”. Mentre per Careddu “è folle pensare che i ragazzi diventino camorristi per colpa delle fiction. Abbiamo visto con i nostri occhi realtà e luoghi in cui non hanno nulla da fare tutto il giorno se non scambiarsi un “tutt’appost”. Il vero problema è che nessuno si preoccupa di tirarli fuori da quei quartieri”.

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