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Guai a consumare energie guardando altrove, lo Spezia impari dal passato: rabbia agonistica e nessuna predestinazione

Rincon e Bastoni

Non c’è ancora niente di ineluttabile, anzi. Se qualcuno, dall’esterno, guardasse la bassa classifica e la corsa per evitare l’ultimo posto virtualmente rimasto (a meno che la Cremonese non si trasformi nella Salernitana di un anno fa, il che non si può escludere) parlerebbe di un mini-campionato in cui tutte le contendenti partono più o meno alla pari. Lecce, Spezia e Verona sono divise da soli due punti, roba di una giornata di campionato che con determinati risultati può cambiare l’ordine attuale, ribaltandolo senza che il ragionamento muti di una virgola. Quando Semplici parla di “fisarmonica” dice il vero, l’inedito semmai è che lo Spezia non si è mai trovato così vicino alla zona rossa come quest’anno e la gestione emozionale cambia se si è dentro il girone dell’inferno piuttosto che sul ciglio, ma mai veramente coinvolti. Fino ad oggi era andata come negli altri anni ma le prodezze del Verona e soprattutto quella vittoria contro il Sassuolo ha cambiato il vento in favore degli scaligeri con Spezia e Lecce a recriminare. L’andamento di entrambe ha permesso alla squadra di Zaffaroni e Bocchetti di colmare quasi del tutto quel gap che, a chi non ha capito come funziona la serie A, sembrava ormai una sentenza. E adesso si apre un nuovo capitolo, quasi un nuovo mini-torneo con un paio di scontri diretti (il Lecce deve incontrare ambedue, sempre fra le mura amiche del Via del Mare), la variabile Cremonese (che ospiterà prima il Verona e poi lo Spezia) e l’altra variabile Champions perché, mai come quest’anno, la lotta per un posto nell’Europa dei vip è apertissima a tante squadre.

Ma l’errore di guardare altrove anzichè costruire fiducia interna non deve essere commesso, specialmente oggi che le distanze sono praticamente nulle: così si rischia di concedere energie all’avversario che magari, è il caso del Verona, oggi vede tutto azzurro perché tutto le va bene, ma domani potrebbe non essere così. O il Lecce, che pare in caduta libera, ma anche a San Siro ha fatto un ottimo primo tempo, mai snaturando il proprio modo di giocare che aveva fin entusiasmato nel girone d’andata: sul Salento sembra aleggiare la sindrome di Benevento e Venezia ma la continuità in panchina, la spinta dell’ambiente e l’esperienza di Corvino sono elementi chiave per questo finale di campionato. E lo Spezia? Con Semplici un cammino che in numeri è solo lievemente migliore di quello del predecessore: in comune i pochi gol, le rare vittorie e quel vento che sembra contrario, con l’eccezione della gara con l’Inter dove si è vinto, sofferto ma non si è rubato nulla. Per cambiare l’inerzia lo Spezia deve trovare le motivazioni dentro sè stessa, le medesime che di questi tempi permisero ad Erlic e compagni di vincere, anche con fortuna, quelle partite che nei due anni precedenti erano state vinte, in qualche modo. Anche il coraggio nelle scelte che poi ti danno la gamba per superarti. Quello che non è successo a Genova dove la squadra ce l’ha messa tutta per cercare di prendersi i tre punti ma che è partita contratta, dando l’impressione di sentire tantissimo la gara, si è complicata la vita andando sotto e rischiando il colpo del ko, risalendo con i nervi e il cuore più che col gioco, visto a tratti e un finale di occasioni ma anche di paura, perché poteva finire in ogni modo. Zanoli docet.

All’indomani del pareggio contro la Sampdoria, le Aquile sono subito tornate al lavoro sui terreni del “Comunale” di Follo. Al di là del lavoro sul campo, Semplici dovrà essere “psicologo” per gestire emotivamente questo finale, tutto da giocare e dove ogni partita è una finale ma non è una sentenza, almeno per ora: una gara da vivere alla volta, imparando da chi oggi sta meglio e riesce ad avere attenzione e lucidità fino alla fine com’è successo al Verona, a Napoli, ma anche col Bologna: non sempre ci sarà un Orsolini che spara l’ultimo tiro oltre la traversa, non sempre ci saranno errori sottoporta come successo ad una mezza dozzina di giocatori aquilotti nel derby di Genova. Farsi del bene vuol dire non perdere la concentrazione e questo vale anche per la gente, troppo impegnata a fare tabelle, a commentare fatti e avvenimenti che avvengono fuori dal terreno di gioco: serve quella rabbia che si è vista negli occhi nei momenti giusti nell’ultimo biennio. Quella che ti fa essere coraggioso quando c’è da fare un allungo, quella che ti fa credere nell’obiettivo prefisso. Allora anche un Monza che ieri ha fatto vedere grandi cose e una condizione fisica importante può essere contendibile. E’ tutto nella testa, gli alibi si ripongano nel cassetto, così come gli errori di mercato, le ingiustizie arbitrali, i rinvii improbabili, i commenti tecnici inadeguati, i famosi bacini d’utenza, le penalizzazioni date e tolte, le ironie di chi in questo mondo ha imparato a starci e ci sguazza benissimo. Prendere o lasciare, il calcio è questo qui (un carrozzone con gli stessi nocchieri di sempre) ma prima di tutto si pensi (e si venga!) al campo, perché nulla è perduto. Se ci credi con tutte le forze in corpo.

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