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Lavoro e crisi

Il direttore dell’Its Sgherri: “Negli anni fatte previsioni sbagliate sull’impiegabilità dei giovani e quindi sulla formazione”

Interpellato da Città della Spezia l'ingegnere interviene in merito al lavoro in un sistema reso volatile dalle crisi.

L'ingegner Roberto Guido Sgherri

Aziende che cercano lavoratori che non si trovano, in tutti i settori. Di altro non si dibatte da anni, il territorio spezzino ne sta pagando le conseguenze e ci sono tante domande alle quali non si trova risposta.  C’è da chiedersi quando effettivamente sia saltato il banco.

Nel caso del territorio spezzino è la crisi dell’Efim ad aver segnato un primo cambiamento radicale. Sono passati più di trent’anni e la Spezia si è reinventata. Si sono consolidati settori già di eccellenza e in questa fase c’è la corsa a rafforzare il turismo. Un’altra fase di enorme cambiamento è arrivata con il Covid ed è diventata più forte la difficoltà a incrociare domanda e offerta.

Alla Spezia tra le figure di altissimo profilo c’è quella dell’ingegner Roberto Guido Sgherri oggi direttore dell’Istituto tecnico superiore della Spezia e in passato dirigente, ex Oto Melara, che ha vissuto in “diretta” la crisi dell’Efim.

L’Istituto tecnico superiore spezzino ad oggi vanta corsi che toccano punte anche del 90 per cento di inserimento nelle aziende. Città della Spezia ha chiesto all’ingegner Sgherri un’istantanea di quanto sta accadendo nel territorio e quando “il banco è saltato”.

“Ci sono tre situazioni che riguardano l’impiegabilità dei giovani nel tempo – ha esordito l’ingener Sgherri -. Una è di oggi, in matching domanda e offerta del mercato del lavoro e della disponibilità delle competenze dei ragazzi. Poi, c’è l’impiegabilità a medio termine, quella che prevede una formazione a un paio di anni (i corsi Its ne sono un esempio, NdR). Dopodiché c’è l’impiegabilità a lungo termine, quella dei laureati quindi prevista a cinque, sei anni. Queste previsioni hanno un’affidabilità che sono massime per quelle attuali, merito anche della Rete per il lavoro, poi decrescono in maniera non lineare perché ad esempio prevedere il futuro a sei anni è complicatissimo con quello che sta succedendo in questi periodi”.

“Quando vengono identificate le aree in cui formarsi e quindi impiegarsi vanno valutate le aspettative della singola persona  – ha spiegato  -, ma va valutato anche il tempo e l’affidabilità della previsione. Si corre il rischio che si studi qualcosa che tra sei anni non ha medesima utilità che ha adesso, perché in quell’arco di tempo potrebbero emergere nuove professioni. Si tratta di un rischio che però paga, perché più è alta la formazione più è la crescita. Però ha un limite: l’affidabilità della previsione”.

Il banco è saltato nelle previsioni – spiega -. Certi impieghi potevano essere prevedibili, altri no. Evidentemente qualche previsione fatta non è stata azzeccata, qualche comunicazione alle famiglie e ai giovani, che affrontavano gli studi al fine dell’impiego, non è stata colta. Ora su tutti i fronti: dal diploma della secondaria di secondo grado, agli Its e all’università si sta facendo un po’ di pulizia. Gli effetti però si potranno vedere solo tra quattro o cinque anni. Non ultimo, le nuove generazioni sono numericamente ridotte. C’è da dire però che negli impieghi operaistici valeva il discorso del territorio, ora meno perché c’è molta manodopera importata, per i diplomati del terziario (Its, NdR) e i laureati il loro mondo è esteso minimo all’Italia, senza dimenticare che l’European qualification framework il quale identifica il titolo di studio a livello comunitario per loro c’è la possibilità di impiego in tutta l’Europa”.

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