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ChatGPT non sa cosa sono i muscoli, ma è qui per cambiare tutto

Un approfondimento su limiti e potenzialità della tecnologia che promette di semplificarci la vita, ma mette anche a rischio svariate professioni dell'industria creativa.

Non ha informazioni accurate oltre il 2021, non è connesso a Internet, sbaglia calcoli matematici elementari, e non sa cosa siano i muscoli. ChatGPT è uno degli strumenti rilasciati gratuitamente da OpenAI, azienda californiana guidata dal guru della Silicon Valley Sam Altman e finanziata, tra gli altri, da Elon Musk e Microsoft. È indubbiamente l’argomento tecnologico più caldo del momento, ma a differenza di altri trend effimeri pare avere tutte le caratteristiche per restare a lungo. E cambiare tutto.

Il “GPT” del nome sta per “Generative Pretrained Transformer”, quindi uno strumento trasformativo e generativo pre-allenato dall’azienda americana su una base dati enormi (praticamente, tutto internet fino al 2021, ivi compresi tutti i libri di Google Books), e che è capace di elaborare linguaggio naturale, simulando conversazioni che supererebbero facilmente il famoso test di Turing, che sfidava le macchine a mimetizzarsi con gli umani. Lo strumento è gratuito, perché come spesso succede in questi casi il prodotto siete voi: anzi, in questo caso siete i tester, perché tutto quello che scrivete può essere utilizzato non contro di voi, ma a favore degli sviluppatori, che renderanno ChatGPT ancora più potente e versatile – quindi sì, a ben pensarci almeno parzialmente contro di voi. Il tool ha creato una dicotomia tra gli entusiasti che lo vedono come un modo di sbarazzarsi di un sacco di attività a basso valore aggiunto e il solito coro di persone che temono che “ci ruberà il lavoro”. Il rischio rispetto ad altre innovazioni, però, è indubbiamente più concreto.

Ma cosa fa, esattamente, ChatGPT? Tutto. O meglio, se non tutto, quasi. Sa scrivere sonetti di Shakespeare su qualsiasi argomento, comprese le multe per divieto d’accesso in ZTL (provare per credere), compone codice in praticamente qualsiasi linguaggio di programmazione, scrive articoli meglio della maggioranza di quelli che si trovano in rete, compone favole con unicorni nello stile che preferite (io per mia figlia ho usato quello di Collodi, ma se avete coraggio potete provare anche coi fratelli Grimm), prepara copy per il marketing, vi sintetizza il contenuto di libri, scrive saggi e compiti a casa (tant’è che la stessa OpenAI ha rilasciato un altro strumento che è in grado ), scrive al posto vostro messaggini della buonanotte al/la fidanzato/a e qualsiasi altra cosa vi venga in mente, in qualsiasi lingua desideriate.

O quasi, insomma: se lo sottoponete a uno stress-test, scoprirete che ChatGPT è ancora viziato da diversi errori imperdonabili – per uno spezzino, alcuni di gravità mortale, tipo questo:
ChatGpT
E cerca di colmare le lacune matematiche di base con una certa tendenza ad assecondare le nostre affermazioni:
ChatGpt
Ovviamente, ChatGPT è ben lontano dall’essere cosciente (qualsiasi cosa questo significhi) di cosa stia scrivendo. È un modello probabilistico, che tiene in considerazione sulla base dell’enorme montagna di dati su cui è stato allenato di quale sia la parola più probabile che segue quelle scritte precedentemente. L’elemento che appare prodigioso però è che si ricorda tutto quello che gli abbiamo scritto, e quindi si ha veramente la sensazione di parlare con qualcuno di umano – ivi inclusi i suoi errori e la sua spocchia, che sono forse i tratti che davvero lo avvicinano di più a noi.
ChatGPT è però solo uno degli strumenti delle cosiddette Intelligenze Artificiali generative, che stanno facendo tremare tutta una serie di professioni creative, specialmente del cospicuo “esercito delle partite Iva”, l’archetipo di collaborazione che rappresenta la forma principale di sostentamento di milioni di giovani lavoratori nell’industria creativa – e non solo – del nostro paese. Altri strumenti di intelligenza artificiale, di tipo Text-to-image (dal testo all’immagine) come Midjourney, Stable Diffusion e DallE stanno mettendo a repentaglio il lavoro di centinaia di migliaia di illustratori, giustamente preoccupati dalla qualità dei lavori prodotti da queste piattaforme, dalla semplicità del loro utilizzo e dalla velocità con cui migliorano se stesse, spesso in barba a qualsiasi logica di copyright e diritto d’autore. Com’è infatti possibile scrivere un sonetto nello stile di Shakespeare o Montale, si possono anche realizzare opere d’arte o immagini commerciali che ricalchino lo stile di artisti immortali – ma anche di quelli viventi. In diverse parti del mondo sono nate difatti class action contro questo tipo di strumenti, che pongono sfide normative complesse per una politica e una giurisprudenza che fanno sempre più fatica a stare al passo col ritmo delle innovazioni tecnologiche – e che rischiano di essere in futuro fortemente automatizzate anch’esse, d’altronde.
Oltre ad OpenAI, praticamente tutte le grandi aziende del comparto tech stanno investendo su piattaforme proprietarie, in una gara al rialzo dove è probabile che effettivamente tutta una serie di lavori di routine vengano automatizzati, con il rischio di trovarci l’intero web inondato di contenuti costruiti da intelligenze artificiali per altre intelligenze artificiali, quelle che animano i motori di ricerca che ci aiutano a ordinare e dare senso alla massa di informazioni in cui siamo immersi. Secondo gli esperti del settore, e a prescindere dalle evoluzioni di ChatGPT e sorelle, “circa la metà dei lavori delle economie occidentali verranno automatizzati nel prossimo decennio o due”. In un contesto in cui le chiusure commerciali palesano come già molte attività oggi debbano ancora riprendersi dall’avvento del web, le professioni individuali che si salveranno saranno non solo quelle capaci di produrre senso – si può automatizzare la cronaca di una partita di calcio, ma per il momento è ancora difficile che un’IA scriva un editoriale davvero illuminante sugli avvenimenti socio-politici del momento – ma anche quelle a più alto grado di empatia, come ad esempio i care givers, e tutti quei mestieri in cui il tocco umano abbia ancora un valore aggiunto importante per le persone che dovranno fruirne. Cosa fare della nuova ondata di esodati, in un contesto socio-economico che fatica ancora a tornare ai livelli pre-crisi del 2008, è la nuova sfida politica (per il momento invero del tutto assente dal dibattito pubblico e dall’agenda elettorale) per le classi dirigenti locali, nazionali e mondiali del prossimo decennio.
Filippo Lubrano
Consulente di innovazione e internazionalizzazione, fondatore di Metaphoralab.it 
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