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Reale e virtuale sempre più interconnessi

Lubrano svela i segreti del Metaverso: “Oggi per videogiochi e moda, domani auto e case. I teenagers di oggi sono già pronti”

FIlippo Lubrano
Il 2022 è decisamente l’anno del Metaverso, grande spazio virtuale immersivo in cui si possono vivere molte delle esperienze che facciamo nella nostra vita reale. Si tratta di una struttura tecnica condivisa dove gli spazi virtuali possono essere creati dagli utenti stessi che li mettono a disposizione di altri utenti. Ecco perché non esiste fisicamente, ma non è corretto affermare che non abbia dimensioni: è un universo nell’universo come suggerisce l’etimologia del termine che unisce le parole “meta”, ovvero all’interno, e “verso”, abbreviazione di universo. Un universo parallelo quindi e una parola, “Metaverse”, coniata nel 1992 da Neal Stephenson nel libro appartenente alla cultura cyberpunk “Snow Crash” e descritto dall’autore come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Per capirci di più e iniziare a prepararsi all’ennesima rivoluzione, Città della Spezia ha intervistato Filippo Lubrano, ingegnere e fondatore della start-up Metaphora, impegnato nel pomeriggio di ieri in Confcommercio nel workshop “Il metaverso non esiste” a spiegare ad imprenditori e soggetti interessati questa novità che è nel futuro ma anche nel presente per chi già si è mosso per non rimanere indietro.
Un metaverso, tanti metaverso. Ma per fare cosa?
“Dobbiamo aspettarci la compresenza di diversi Metaverso non comunicanti. Ognuno di noi accederà ad una piccola parte e potrà muoversi fra un limitato set di cose. Nel metaverso di Zuckenberg è possibile fare riunioni online come fossimo in presenza, utilizzando grafici, slides e strumenti di lavoro ma ciò che attualmente pesa di più è l’utilizzo nei videogiochi online: i teenagers sono abituati a giocare in rete e lì esprimono gran parte della loro socialità. Per ora hanno avuto accesso 400 milioni di persone, il 5-6% della popolazione mondiale. Il visore è la scommessa di Zuckenberg che nel 2014 acquistò Oculus investendo 10 miliardi di dollari. Per ora ne ha venduti pochi, ma siamo soltanto all’inizio”.
Quindi per entrare serve un software, un visore nella fattispecie.
“Oggi per entrare nel metaverso di Meta, la società a cui fanno capo Facebook, Instagram e Whatsapp, per esempio, oltre ad avere un account Facebook, sarà necessario il visore VR Quest 2 di Oculus. Ma in realtà ogni piattaforma decide autonomamente le sue regole d’ingresso”.
Della realtà virtuale si parla da trent’anni, perché oggi dovrebbe avere successo e impiego nella vita reale e perché non possiamo permetterci di ignorarlo?
“Anche quando uscì il primo Iphone i componenti erano già esistenti ma quell’oggetto ha aperto un mondo. Le internet company sono in fermento e stanno investendo pesantemente anche perché la connettività odierna ti permette di fare quello che prima non potevi. Uscire dal pianeta divertimento e passare a quello dell’industria, all’uso sistematico nel campo della formazione aziendale, è la scommessa e da questo punto di vista l’Europa può giocare un ruolo fondamentale in qualità di soggetto normatore e mediatore tra la visione ipercapitalista di Silicon Valley e le logiche della socialità del modello cinese. L’Italia non è fra i protagonisti ed ognuno gioca per sè ma è necessario parlarsi e da questo punto di vista è importante il lavoro del Metaverse Standard Forum in cui le grandi aziende “se le danno””.
Campi di applicazione?
“La moda sembra il settore che più di tutti ha capito il potenziale. Marchi come Gucci o Balenciaga sono già nel Metaverso, stanno facendo esperimento con ritorni immediato. Puoi acquistare e vendere abiti, sia reali che virtuali: vestire il tuo avatar sarà un altro modo per mettersi in mostra, per differenziarsi, per essere attrattivi, nel virtuale e magari attraverso quello anche nel reale. Per generazioni più anziane è difficile capire tutto questo ma teniamo conto che i ragazzi passano davanti al video molte ore durante la giornata e spesso non escono di casa. Anche perché uscire di casa costa di più e c’è gente che già oggi spende soldi per aprire i livelli di giochi come Candy Crush, anche quella sembrava impensabile fino a qualche anno fa. Non credo che il Metaverso eliminerà alcune cose della realtà odierna, semmai si aggiungeranno allo shopping online anche i negozi online dove è possibile provare virtualmente un capo, usando i filtri che già oggi abbiamo sullo smartphone. Domani toccherà all’immobiliare e all’automotive ma potenzialmente le applicazioni sono infine”.
E la scuola come si può interfacciare?
“Si dice che l’esperienza che una realtà virtuale aumenta del 40-70%, a seconda del soggetto, le capacità di memorizzare qualcosa e apprenderla. In fondo si aggiungono i sensi, i quali aiutano  a ricordare di più e meglio le cose. Il rischio magari è che, mentre stiamo studiando l’antica Roma, sotto la statua di Tiberio possa comparire la pubblicità della Coca Cola. Ma a ben guardare anche questo già esiste nel mondo reale”.
Quanto inquina il Metaverso?
“Porsi questa domanda in termini generali rischia di essere fuorviante: al momento, la cosiddetta Blockchain sta evolvendo dalla Proof-of-Work alla Proof-of-Stake. Al di là dei tecnicismi, quello che c’è da sapere è che con questa seconda tecnologia l’impatto a livello di consumo energetico sarà ampiamente ridotto. Ad esempio, in molti oggi citano il dato – corretto – che la blockchain necessaria per sostenere Bitcoin consuma più di interi stati come la Norvegia o l’Argentina. Il punto però è calcolare quanto consuma l’attuale economia finanziaria, che nel suo insieme inquina di più di interi continenti: il progetto delle criptovalute è quello di rimpiazzare almeno parzialmente le banche, disintermediandole. Il calcolo da fare è quindi prima quanto il Metaverso possa far risparmiare digitalizzando delle esperienze reali (gli spostamenti fisici necessari per andare a lavorare, comprare etc.) e solo dopo contare il vero delta”.
Cosa possono fare concretamente le attività commerciali e le aziende oggi col Metaverso?
“Ogni realtà necessita innanzitutto di un vestito su misura: bisogna capire quali attività sono “virtualizzabili”, quali piattaforme del “Metaverso” utilizzare, che beneficio si genera, e i costi di realizzazione. Questi ultimi possono spaventare, ma in realtà per realizzare alcuni primi progetti di avvicinamento al Metaverso l’investimento non è elevatissimo, si parla di qualche migliaio di euro. Ovviamente, più il progetto è ambizioso più i costi salgono, ma aumentano anche i potenziali benefici: così come grandi catene come H&M hanno aperto dei negozi nel Metaverso, altrettanto possono fare attività al dettaglio. Le grandi imprese possono invece virtualizzare molti processi, dall’on-boarding dei nuovi impiegati ai colloqui delle Risorse Umane fino alla creazione di veri e propri “digital twin”, gemelli digitali capaci di virtualizzare spazi in 3D anche per far imparare agli operai attività manuali. Ma prima di tutto, bisogna andare oltre le sensazioni a pelle e quello che raccontano i media generalisti e studiare, o quantomeno farsi raccontare da qualcuno di preparato, le opportunità – e ovviamente le minacce – di questa nuova realtà”.
Dove opererà Metaphora? Assumerà sul territorio?
“Coerentemente a quello che facciamo, privilegeremo il lavoro da remoto. Io stesso lavoro da casa già da prima della pandemia, e sinceramente la trovo la maniera più efficiente per lavorare. Non credo riuscirei mai più a tornare indietro, e a vivere il refrain dell’ufficio su base quotidiana. Abbiamo comunque una sede a Milano, dove condividiamo risorse e spazi con la nostra azienda gemella del mio socio Simone Spoladori, Roger, che è un laboratorio di comunicazione e narrazione aziendale, con una forte competenza sul mondo dei podcast, e un’altra a Torino, dall’altro nostro partner, l’azienda di consulenza Skills Management Group. I nostri collaboratori stanno in Lombardia, Emilia, Veneto, in alcuni casi anche all’estero, e crediamo molto al nomadismo digitale: non a quello che si vede in tv, dei dipendenti che lavorano dalla spiaggia, ma alla responsabilizzazione dei singoli. Questo essenzialmente per essere attrattivi nei confronti di una generazione che sappiamo ha esigenze e desideri molto diversi dalla nostra: tutti i nostri collaboratori sono più giovani di me, non a caso. Non possiamo competere sugli stipendi né sulle prospettive di carriera con le grandi aziende, ma possiamo creare ambienti sani dove ogni persona che lavora si senta a proprio agio, rispettata e valorizzata. Fatte salve alcune regole base di convivenza, è l’azienda che deve venire incontro ai suoi dipendenti molto più di quanto i dipendenti debbano fare con l’azienda.
E alla Spezia?
“Qui sul territorio cerco di fare evangelizzazione sui temi di innovazione da tempo, sia con Confcommercio e il suo gruppo giovani, che soprattutto con le scuole, come il “mio” Pacinotti che ha aperto un laboratorio di intelligenza artificiale, mentre paradossalmente da un po’ di tempo non ho più occasione di collaborare con il Polo Marconi, di cui sono stato consigliere. Insegno invece con regolarità in altre università italiane. Mi piacerebbe moltissimo che emergessero delle professionalità in questi ambiti anche qui, anche se per il momento mi rendo conto che con la mancanza di un disegno sinergico sul territorio dobbiamo essenzialmente affidarci al caso, o meglio ai miracoli. Ma la storia e la botanica insegnano che alcune volte i fiori sono così testardi da spuntare anche dal cemento. Nel mondo virtuale succede più di frequente, ma non abbiamo perso la speranza neanche in quello reale”.
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