Anche i detenuti della casa circondariale della Spezia potranno imboccare una strada di uscita dall’emarginazione sociale grazie ad un percorso lavorativo pensato per i soggetti più fragili. E’ stato firmato il protocollo che inserisce gli ospiti del carcere di Villa Andreino all’interno dei progetti “La città svelata” e “IntegrAzioni Starting Over”, entrambi attivi da tempo, promossi da Isforcoop e Associazione Mondo Nuovo Caritas con l’adesione del Comune della Spezia.
Attivo da ottobre 2021, “La città svelata” ha permesso nell’ultimo anno di prendere in carico circa 120 persone, che hanno potuto partecipare a corsi di formazione, tirocini e percorsi di inclusione socio lavorativa (ex borsa lavoro). “Di questi 60 hanno trovato un lavoro oppure hanno terminato un percorso professionalizzante che gli permetterà di presentarsi sul mercato del lavoro con credenziali”, sottolinea l’assessora Patrizia Saccone. Tra le attività, anche lavori di pubblica utilità nella manutenzione del verde cittadino. Toccati nel corso del 2022 i quartieri del Canaletto, di Fossitermi, la zona della Maggiolina, Rebocco e Cadimare; nei prossimi mesi toccherà, tra gli altri, a Sarbia, Pitelli, la Chiappa e l’anfiteatro di Viale Alpi.
Per la nuova fase, Palazzo Civico garantirà un contributo di 10mila euro. Ci saranno anche i detenuti. “Questo tipo di progetti sono la vera finalizzazione del nostro percorso, perché danno una reale speranza di poter rientrare all’interno della collettività – sottolinea la direttrice Maria Cristina Bigi -. Questo si attua solo attraverso il lavoro e la prospettiva di ottenere l’autonomia. Ma il bello di questo progetto è la rete che si è creata alla base, fatta di persone che si sono sempre occupate del disagio nella loro vita. E la Spezia, devo dire, ha sempre avuto particolare sensibilità sul tema: vedere uno spezzino che offre un caffè ai detenuti nella pausa lavoro, è un piccolo gesto che dà loro la sensazione di essere rientrato nella società”.
La selezione degli individui ammessi al lavoro fuori dalla struttura è molto approfondita. Intanto sono ammessi solo coloro che abbiano già scontato una parte significativa della pena. Si parte poi con sei mesi di osservazione, che tengano conto del reato che ha portato alla carcerazione come dei comportamenti tenuti in occasione di eventuali precedenti condanne. Si stila una relazione di sintesi in cui si prospettano le attività in cui l’individuo potrebbe essere inserito. Si crea un progetto individuale su misura, si mette alla prova con permessi premi, si tiene conto della presenza del nucleo di riferimento al di fuori del carcere. Nel caso ci siano problemi di tossicodipendenza, tutto viene valutato con gli specialisti del Sert. Solo alla fine può partire un percorso all’esterno. “Non possiamo andare per tentativi, la speranza è un concetto razionale che va per obiettivi – sottolinea Bigi -. La buona riuscita dipende dalla capacità e dalla motivazione della persona inserita”.
In partenza corsi professionali per aiuto cuochi, mentre in futuro un settore che può dare risposte è quello dell’edilizia. Si parla sempre di formazione certificata. “La città è l’unico spazio possibile dove sviluppare questi progetti – sottolinea Paolo Clemente di Isforcoop -. E il carcere è a tutti gli effetti un quartiere chiuso di essa. La città svelata si apre alla possibilità di integrazione in un percorso da cui la città stessa è ricambiata”.
Don Luca Palei, al vertice della Caritas, ricorda i 1300 pasti al giorno serviti nella diocesi spezzina e le 21mila persone assistite ogni anno. Ringrazia la squadra dei suoi collaboratori (“operativa giorno e notte”) e ammonisce. “Questi progetti sono una risposta di speranza quantomai necessaria, soprattutto oggi che i centri di ascolta raccolgono un’ansia crescente anche di fronte all’aumento delle bollette e del costo della vita. Vediamo arrivare sempre più giovani che chiedono aiuto. Arriveranno tempi impegnativi e dobbiamo essere pronti”.
Per questo, chiosa il sindaco Pierluigi Peracchini, “bisogna sostenere lo sforzo immenso che le associazioni sta portando avanti. Questo modello deve essere portato a Roma perché siamo indietro come Paese su certi aspetti. Questi percorsi devono diventare misure sistematiche e non appuntamenti occasionali”.