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Una storia spezzina

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Se lo merita Mazzini

Statua a Mazzini

I monumenti della città sono un po’ come i soprammobili che esibiamo sui ripiani degli arredi di casa. Belli o brutti, preziosi o umili, fanno piacere quando si espongono la prima volta. Poi a stento li degniamo di uno sguardo, lasciandoli impolverare fino al saltuario passaggio di un piumino che provvisoriamente li netti. Ma le più volte li consideriamo cianfrusaglie che non gettiamo solo per pigrizia. Solo in occasionali momenti, quando l’occhio vi si indugia più del solito, il ravato diventa cosa viva. e ti sovviene quando è entrato in casa: souvenir di un viaggio o solo una carezza che ha disperso la malinconia: e allora lo strufugio riprende anima e corpo come successe nella casa del nespolo di Padron ‘Ntoni, lezione spesso negletta. Anche ai monumenti succede così. Gli passiamo accanto senza accorgerci della loro presenza, considerati alla stregua di suppellettili che fanno parte dell’arredo urbano come la siepe che attornia i giardini entro i quali non sono pochi i cippi di pietra. Certo, la dimensione gioca la sua parte nel catturare lo sguardo. Non si può non notare Garibaldi a cavallo oppure Chiodo ritto in piedi, ma per i simulacri di più ridotte
misure il discorso è diverso. Oltretutto, a farli scomparire nel paesaggio è anche la materia con li hanno confezionati: per gli altri due c’entrano il bronzo o il marmo con cui li hanno realizzati, ma gli altri…

Eppure, come per i soprammobili di casa, quando l’occhio ci si attarda sopra magari solo perché una volta, lì nei pressi, decenni fa hai recitato a una fantela Da mi basia mille oppure perché la persona o l’evento sono importanti per il passato collettivo, quel monumento ti fa piacere vederlo e soprattutto constatarne la migliore salute. Per questo, sono stato contento quando qualche settimana fa ho visto che il busto di Ubaldo Mazzini in via Chiodo, vicino alla fermata del bus, era stato ripulito dai fiori malandrini che, cresciuti oltre il lecito, disturbavano la vista di quella scultura cui conviene invece un bel tappeto verde che si limiti a contornare la base del cippo senza determinare, per l’eccessiva altezza dello stelo, prospettive divergenti che offuscano la vista. Se lo merita quell’Uomo che, fosse ancora in vita, ammonirebbe a non dimenticare che lì vicino c’è ancora la palma che copre il monumento dedicato a Giovanni Capellini. Comunque, più che bene ha fatto l’amministrazione a rimuovere quelle erbacce, un’operazione per la quale da incallito presuntuoso mi arrogo un po’ di merito per aver denunciato il degrado in un articolo apparso su questa testata all’incirca un paio di mesi fa.

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