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Una storia spezzina

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John Ruskin e i copricapi ottocenteschi delle spezzine: “Orribile nelle anziane, grottesco per tutte”

Ruskin e i copricapi delle spezzine

Su un manichino dell’Etnografico è esposto il tipico abito indossato dalle donne spezzine nell’Ottocento. Su tutto spicca il copricapo che è di paglia e portato inclinato sul capo a coprirne solo un versante. Per la posizione e la ridotta dimensione attira l’attenzione di chi lo vede. È celebre la definizione che ne rilasciò Charles Dickens quando nel 1845, ma per puro caso, toccò questa landa: doll’s hat, cappello da bambola. 

Del curioso copricapo abbiamo anche un’altra testimonianza letteraria illustre anche se chi la scrive non è oggi famoso come l’Autore dell’Oliver Twist.

Quasi quindici anni dopo Dickens viene da queste parti John Ruskin. Magari oggi il nome dice poco, ma all’epoca era ben noto. 

Ruskin fu un importante scrittore e critico d’arte nell’Inghilterra di metà Ottocento. Venne in Italia per ben tre volte, l’ultima sul finire degli anni Cinquanta, e dei suoi viaggi nel Bel Paese lascia memoria nei Diari che raccolgono le impressioni che suscita in lui la visita della Penisola che esplora fino a Napoli.

Alla Spezia arriva da Genova e, mentre valica il Bracco, spesso interrompe la corsa per scendere e raccogliere frammenti di ardesia che si porta a casa come souvenir. Ci prova anche con il granito “intaccato dalle intemperie”. Cerca di prenderne un pezzo per avere un altro ricordo del tour ma la pietra è così resistente che neppure si fa scalfire.

Della permanenza qua ricorda soprattutto le pareti della locanda dove sosta, tappezzate da stampe che raffigurano in tutte le salse Napoleone: detestandolo da buon inglese, accomuna nel giudizio negativo anche le sue rappresentazioni. Nota anche la grande povertà che regna e quanto siano brutte tutte le donne sopra i quattordici anni. 

Siccome lo scopo della visita sono le cave di Carrara, alla Spezia sta il minimo indispensabile per prendere il traghetto “lento e malandato” con cui passa il Magra e raggiunge Sarzana dove, da innamorato del gotico, ammira la serena maestà della cattedrale apprezzando più di tutto il marmo bianco che l’adorna.

Proprio nel centro della Val di Magra osserva come le donne del posto si coprono il capo.

Portano neri capelli lunghi ma, per non farli ricadere sulle spalle, li raccolgono a crocchio sulla testa racchiusi in una nera retina che li trattiene. Al termine, sulla cipolla che hanno così creato, pongono il cappello fissandolo con nastri che, secondo la moda del tempo, passavano dalla sommità fino a sotto il mento.

Per lui è ”orribile nelle anziane, grottesco per tutte” quel copricapo minuscolo come un toy, un giocattolo. 

Per l’altro era da bambole. Beh, siamo lì, no? 

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