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Una storia spezzina

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Ubaldo Mazzini, Lord Byron e la “fake news” di Jack La Bolina

Lord Byron e Jack La Bolina

Corre ancora oggi la voce che lord Byron abbia soggiornato a Porto Venere che lo ispirò con la sua grotta per il poema “Il Corsaro” e offrì a lui, abilissimo nuotatore, lo spunto per “La sposa di Abido”. Questo componimento descrive l’infelice amore fra Ero e il suo Leandro che ogni notte traversava con poderose bracciate l’Ellesponto (i Dardanelli) per andare dall’amata che dalla finestra con una fiaccola accesa guida il giovane nel buio. Ma una notte una procella furiosa spenge la face ardente e l’innamorato, privo della consueta guida, viene inghiottito dai flutti agitati. L’idea, secondo la vox populi, era venuta al poeta inglese dalle frequenti nuotate compiute da Portovenere fino alla dirimpettaia Lerici.

Contro queste convinzioni che non ci mettono nulla per diventare realtà, Ubaldo Mazzini insorge con un piccolo testo del 1899 che è un vero e proprio libello, un j’accuse impetuoso che riporta alla luce la verve del Gamin che aveva in seno ma che era silente da qualche anno.

Infatti, il Nostro che non mancò mai di mandarla a dire a chi di dovere se riteneva che ne fosse il caso, documenta che Portovenere non poté mai ispirare il lord inglese dato che il canto per gli infelici amanti dei Dardanelli fu composto nel 1813 e “Il Corsaro” l’anno successivo mentre è solo nel 1816 che Byron mette piede in Italia restando fra l’altro per tre anni a Venezia e sull’Adriatico prima di trasferirsi sulla costa tirrenica.

Ma a chi va imputata l’origine di quella storia che è una vera e propria invenzione che oggi non esiteremmo a definire regina della fake news?

Secondo me, era una voce che circolava già da un po’ ma a diffonderla legittimandola come verità indiscussa fu Jack La Bolina.

Il reo colpevole di un misfatto così orrido che l’Ubaldo non esita ad additare al pubblico ludibrio con toni sprezzanti, è un personaggio in vista nella Spezia di fine Ottocento. Al secolo fa Vittorio Agusto Vecchi, un ufficiale di Marina che dalle onde trae il nickname con cui è noto: la bolina, infatti, è il cavo che tende la vela. Uomo di mare scrive di cose marinaresche in cui è esperto ma quando passa a altro rivela pecche e lacune anche vistose.

Il nostro Ubaldo lo sbeffeggia anche perché rende il titolo del poema di Ero e Leandro come “la fidanzata di Abido” mentre nell’originale è “Bride”, sposa.

Gli è che nell’epoca che risente dello spirito vittoriano, non sta per nulla bene che un’amante sia una sposa ed è quindi naturale se non addirittura cogente, che il ruolo nella società di quella donna sia derubricato al livello meno impegnativo di fidanzata: una questione di pruderie.

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