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Stefano padovano: "rischia di essere impugnata"

Polizie locali, il criminologo: “La Regione ha varato una legge miope e senza strategia”

Alle critiche mosse a più riprese dalla minoranza consiliare al disegno di legge 109 approvato ieri dal Consiglio regionale si uniscono oggi quelle di Stefano Padovano, criminologo dell’Università di Genova e Cattolica di Milano, che da oltre un decennio segue da vicino le questioni relative alla sicurezza nelle città della Liguria e che pertanto ben conosce i punti di forza e le criticità del settore. E quella del professor Padovano non è certo l’unica voce tecnica che individua motivi di critica nei confronti del provvedimento votato dalla maggioranza. Anche il prefetto di Genova, Renato Franceschelli, ha infatti voluto chiarire la sua posizione su alcuni aspetti della nuova norma, a cominciare dall’istituzione di un Tavolo regionale per la sicurezza: “L’unico tavolo competente è quello del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica”, ha tuonato Franceschelli, che quel consesso, peraltro, lo presiede.

Padovano va più a fondo e lamenta l’assenza di una strategia dietro alle modifiche all’impianto normativo, ritenendo che servano leggi che consentano di attuare le politiche della sicurezza. “Quello che è stato fatto – afferma Padovano senza mezzi termini – è un passo indietro”.

Come si è arrivati alla nuova legge varata ieri?
“Con diversi errori, fatti nello spazio di 3 legislature. La delega alle politiche di sicurezza urbana a carattere regionale, per quanto prevista dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, è sempre stata una competenza residuale. Per quanto le Regioni abbiano il compito di legiferare, coordinare, valutare e finanziare gli interventi nei e coi Comuni, quella delega è stata politicamente affidata a settori privi di competenze specifiche. In Liguria, dal 2005 ad oggi è passata dal settore legislativo a quello della comunicazione, per poi andare a quello della farmaceutica, poi è passata di nuovo al legislativo, per poi ritornare alla farmaceutica. Capisce che questo è già un segnale di disattenzione istituzionale. Non dico subito, ma negli anni andava costituito almeno un piccolo servizio che se ne occupasse con professionalità specifiche. Pensi che quando andavo ai convegni con gli altri dirigenti regionali o alle riunioni al ministero dell’Interno mi chiedevano: ‘ma quando si decide la Regione a istituire una struttura come hanno tutte le altre?'”.

Questa è una ma esistono altre criticità?
“Certo, amministrare il tema della sicurezza urbana integrata, il ruolo delle polizie locali, quello della criminalità predatoria e organizzata, i beni confiscati, gli interventi di prevenzione, la formazione specifica agli operatori, la valutazione rispetto a ciò che si delibera e finanzia, non è affatto semplice se non si posseggono le debite competenze. Ecco perché nei casi più tristi, gli amministratori arrivano all’ultimo in consiglio e nelle giunte dimostrando di non sapere neppure di ciò che parlano. Le faccio un esempio che riguarda la legge approvata giorni fa: ha presente cosa significa varare una norma che esclude dalla sicurezza urbana integrata il ruolo dei Questori? Allora, al di là della forma, che non è poca cosa, nel senso che il rispetto interistituzionale viene prima di tutto, crede che i Questori si strappino i capelli per non potere partecipare ai tavoli su sicurezza e legalità normati da un organo regionale? Il loro spazio di coordinamneto glielo assegna una norma statale, ed è la Prefettura. E’ sufficiente il passaggio prefettizio interno ai Comitati provinciali ordine pubblico. Ma in una legge regionale, escluderli da un organo consultivo, oltre che non conoscere le norme nazionali, significa mancare sul punto in cui una Regione è centrale: quello di prefigurare la sicurezza urbana integrata. Il parere del Comitato tecnico regionale di Polizia Locale agli atti è risultato favorevole. Comprende che contraddizione?! Dunque, oltre alla miopia di questa mossa, un articolo normativo del genere oltre a evidenziare la scarsa conoscenza del tema, mette in risalto la poca prudenza nel maneggiare gli strumenti di cui si dispone. Non si capisce se chi dovrebbe consigliare tecnicamente le parti politiche lo fa per davvero o se queste ultime cavalcano gli umori di alcuni rappresentanti di categoria. Tendenzialmente l’approccio della politica al tema è questo: privilegiare il solo sfoggio di caschi e scudi, tralasciando quanto di fondamentale costituisce il resto”.

E sull’abolizione degli Osservatori proprio non vuole parlare?
“La politica fa quel che vuole. Sono i cittadini a esprimere un giudizio sui 5 anni di governo ma se la risposta è l’astensionismo di un mese fa c’è da stare freschi. La butto in ridere: sarebbe bastato che di due ne avessero fatto uno, invece che eliminarli del tutto. Sono serio: non ho idea di chi consiglia gli esponenti politici, ma è certo che fanno e dicono cose di forte impatto che risultano deleterie per gli effetti. L’Osservatorio, dal primo rapporto del 2006 all’ultimo del 2020, ha prodotto analisi che non si limitavano agli incroci statistici perché sulla criminalità coi soli numeri non si va lontano. Sono dei punti di partenza, ma per alcuni reati o fenomeni di devianza se non sono accompagnati da analisi in profondità non si ha la misura di ciò che serve per legiferare, deliberare, finanziare e formare gli operatori. Questo è sempre stato il senso del funzionamento dell’Osservatorio, dall’applicazione della legge 28/2004, poi dal 2007 è stata varata la legge 7/2012 sul contrasto alla criminalità organizzata che ne ha istituito un altro. Il punto è che le funzioni del secondo sono state da subito accorpate a quelle del primo: da un lato per evitare doppioni, direi a ragion veduta, dall’altro perché i fenomeni di criminalità organizzata sono stati approfonditi fin dal 2006. Ricordo una prima ricerca svolta presso l’allora Tribunale di Sanremo dal titolo eloquente: criminogenesi di una realtà invisibile, ma penso anche alla violenza di genere e ai maltrattamenti in famiglia, con un lavoro nei pronti soccorsi per individuare appunto le segnalazioni delle donne nella provincia di Savona, o sulla prostituzione nello spezzino. La questione è che uniformare le due leggi, Osservatori compresi, era compito delle giunte precedenti. Questo non è stato fatto e chi è subentrato ha legittimamente colto l’occasione per fare tabula rasa. Anche al netto di sottovalutazioni ed errori che rischiano di tornare indietro come boomerang”.

Per chiudere, secondo lei che cosa c’è che non funziona di questa legge?
“Che cosa manca direi, piuttosto che non funziona: manca una strategia. Tutto gravita intorno alle polizie locali, ma a patto che non si legiferi per davvero a livello nazionale, è inutile fare le fughe in avanti a carattere regionale, perché tutto rischia seriamente di tradursi in una bolla di sapone. La legge corre il rischio di essere impugnata e di tornare al mittente, screditando l’istituzione che l’ha varata. La mancanza di prospettiva si misura con la sopravvalutazione che viene concessa al ruolo delle polizie locali. Queste non hanno più quel ruolo importante che hanno sfiorato nei primi anni Duemila. Se oggi si vogliono creare delle efficaci politiche di sicurezza urbana, al centro troviamo altri settori e figure delle amministrazioni comunali e dei contesti socio-sanitari con cui coordinarsi in rete. Guardare alle sole polizie locali significa rimanere fermi almeno a dieci anni fa. E questa non è una regione che può guardare indietro”.

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